venerdì 9 maggio 2014

IL GENDER GAP in ITALIA: palla al piede anche per l'economia


Questa volta il balzo in avanti ce l’ha fatto fare il parlamento: le donne elette a Camera e Senato, per la precisione. Nel 2013 sono passate al 31% (dal 22% della precedente legislatura) e l’Italia ha guadagnato 9 posizioni nella classifica che misura la disparità di genere, il Global Gender Gap Report redatto ogni anno dal World Economic Forum di Ginevra. Eppure le pari opportunità nel nostro Paese rimangono un miraggio: siamo ancora al 71esimo posto su 136 Paesi.
Al primo c’è per il quinto anno l’Islanda, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia e Filippine. In altri termini, se nasci uomo o donna fa molta meno differenza, in termini di possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale, in Scandinavia e anche nelle Filippine che in Italia (l’indice misura le differenze di opportunità tra i generi, non il loro livello assoluto, in modo tra l’altro da non penalizzare i Paesi più poveri).
«In generale l’Italia si colloca più in basso dei Paesi Scandinavi per tutti i quattro sotto-indici che compongono il Global Gender Gap Report: su 136 Paesi, è al 65 posto per quanto riguarda la scolarizzazione, 72esima per la salute, 44 per l’accesso al potere politico e al 97esimo per la partecipazione alla vita economica», spiega Yasmina Bekhouche,  co-autrice del rapporto del World Economic Forum.
Il problema viene soprattutto dal mondo del lavoro. «Il posizionamento generale dell’Italia può essere spiegato principalmente con il basso risultato nella classifica della partecipazione e opportunità economiche – dice Bekhouche – Solo il 51% delle donne lavora, mentre lo fa il 74% degli uomini». Ma l’elemento chiave è la disparità salariale: una italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo. «La posizione dell’Italia nella classifica che misura l’eguaglianza salariale percepita è molto bassa: 124esima su 136 paesi, e al di sotto della media mondiale», chiarisce Bekhouche . La percezione misurata dall’indice, per altro, è quella dei dirigenti d’azienda: gente che ha voce in capitolo su carriere e promozioni.
«Il fattore determinante più importante per la competitività di un Paese è il talento umano. Le donne costituiscono la metà de talento potenziale – ricorda Bekhouche  –. Se il governo ha un ruolo importante nel sostenere le politiche giuste (congedo di paternità, asili, etc.), sta anche alle aziende creare posti di lavoro (con processi di reclutamento innovativi, nuovi percorsi per le carriere, politiche salariali trasparenti) che permettano ai migliori talenti di svilupparsi».
Aumentare la presenza delle donne nei luoghi di lavoro è importante, ma non basta se non porta anche a nuove politiche di conciliazione e a un modo nuovo di lavorare – da cui possono trarre beneficio tutti, anche gli uomini. Altrimenti quelle stesse donne rimarranno ai livelli più bassi o saranno costrette alla scelta penosa tra carriera o famiglia.
 Che i numeri di per se non garantiscano la parità si vede anche dall’analisi nel dettaglio della situazione politica: in parlamento ci sono più senatrici e deputate (siamo al 28esimo posto della classifica), ma non sono aumentate significativamente le donne in «posizione ministeriali»(qui il nostro Paese si piazza solo 60esimo, e migliora soltanto di una posizione), nei luoghi cioè in cui si decidono le priorità del Paese.
E se si guarda un altro indice, quello della Banca Mondiale che misura l’efficacia dei governi, salta agli occhi che i governi italiani hanno davvero bisogno di energie nuove*


 *Il grafico è una rielaborazione di Amedeo Panci 

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