giovedì 20 dicembre 2012
martedì 18 dicembre 2012
IMPRUNETA BENE COMUNE
martedì 11 dicembre 2012
venerdì 7 dicembre 2012
lunedì 3 dicembre 2012
Un buon articolo
"da La Repubblica: Massimo Giannini"
UN LEADER FORTE
"Se facciamo le cose per bene non ci ammazza più nessuno", aveva detto Bersani all'inizio di questa avventura rischiosa e "strepitosa". Non tutto è andato alla perfezione, nel ruvido duello per la premiership del centrosinistra. La rissa sulle regole è stata rancorosa, e a tratti indecorosa. Ma adesso che ha stravinto, per il segretario del Pd comincia un'altra vita. La più dura. Quella che lo può portare da Largo del Nazareno a Palazzo Chigi.
Da queste primarie esce un leader forte, legittimato dal voto di tre milioni di italiani che credono nella democrazia e chiedono buona politica. Un leader che ottiene un quasi plebiscito e prevale nel fuoco di una battaglia finalmente vera, dove al contrario delle vecchie primarie di Prodi l'esito è stato davvero incerto e l'offerta è stata davvero plurale.
Da queste primarie esce un partito nuovo, già cambiato nell'articolazione interna e nella proiezione esterna. Un partito che si è scopre aperto, scalabile e comunque contendibile, dove al contrario della tradizione Ds-Pds-Pci non funzionano più i veti incrociati dalemian-veltroniani né i blocchi imposti dai comitati centrali. C'è ancora molta strada da compiere, alla ricerca di una chiara identità politica. Il problema di cosa sia oggi un Pd nato per fondere le culture del cattolicesimo ex democristiano e del socialismo ex comunista, e tuttora costretto a federarsi con Sel e Udc per "unire progressisti e moderati", resta tuttora irrisolto. E sta lì a dimostrare che il progetto è tuttora incompiuto.
UN LEADER FORTE
"Se facciamo le cose per bene non ci ammazza più nessuno", aveva detto Bersani all'inizio di questa avventura rischiosa e "strepitosa". Non tutto è andato alla perfezione, nel ruvido duello per la premiership del centrosinistra. La rissa sulle regole è stata rancorosa, e a tratti indecorosa. Ma adesso che ha stravinto, per il segretario del Pd comincia un'altra vita. La più dura. Quella che lo può portare da Largo del Nazareno a Palazzo Chigi.
Da queste primarie esce un leader forte, legittimato dal voto di tre milioni di italiani che credono nella democrazia e chiedono buona politica. Un leader che ottiene un quasi plebiscito e prevale nel fuoco di una battaglia finalmente vera, dove al contrario delle vecchie primarie di Prodi l'esito è stato davvero incerto e l'offerta è stata davvero plurale.
Da queste primarie esce un partito nuovo, già cambiato nell'articolazione interna e nella proiezione esterna. Un partito che si è scopre aperto, scalabile e comunque contendibile, dove al contrario della tradizione Ds-Pds-Pci non funzionano più i veti incrociati dalemian-veltroniani né i blocchi imposti dai comitati centrali. C'è ancora molta strada da compiere, alla ricerca di una chiara identità politica. Il problema di cosa sia oggi un Pd nato per fondere le culture del cattolicesimo ex democristiano e del socialismo ex comunista, e tuttora costretto a federarsi con Sel e Udc per "unire progressisti e moderati", resta tuttora irrisolto. E sta lì a dimostrare che il progetto è tuttora incompiuto.
Primarie, Bersani sopra il 60%
Primarie, Bersani spilla la birra per i volontari
Il vero risultato è l'affluenza, a conferma della disponibilità degli elettori alla democrazia. Renzi è stato l'apriscatole di sistema e questa spinta non si può esaurire con la sua sconfitta. Il segretario del Pd, che si è messo in gioco con primarie che lo Statuto non prevedeva, adesso ha l'obbligo di portare fino in fondo il cambiamento, senza farsi riacchiappare dagli "elefanti" del partito.
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