Salvatore Settis è un 71enne signore dai modi gentili e leggeremente
impacciati di chi ha trascorso più di dieci lustri della propria vita
tra libri, convegni, testi antichi, banchi delle più prestigiose
istituzioni universitarie. La sua rabbia per come vanno le cose in
questa Italia «dominata dal verbo della destra, cui anche la sinistra è
succube» e dove tutto, pure i beni culturali e il paesaggio, «patrimonio
della nazione» sono trattati alla stregua di «oggetti vendibili al
mercato», è l'ira dei miti. Il suo, non è un atteggiamento estremista né
amiccante all'antipolitica («Odio e volontà di eliminare gli altri»), è
invece un modo di porsi fatto di indignazione e radicalità. Il
professore ha appena dato alla stampe un nuovo libro "Azione popolare.
Cittadini per il bene comune" (Einaudi): oltre 230 pagine tra manifesto
politico, esegesi delle leggi e del linguaggio che ci governano, e
suggerimenti per tutti quegli italiani che non vogliono assistere
passivi alla «sistematica sottrazione dei loro diritti civili».
Non
le sembra che il titolo del libro sia pericoloso? L'azione popolare è
una nozione populista e di destra. E perché l'ha scritto?«Sono
archeologo e storico dell'arte. Le mie competenze sono Giorgione,
Laocoonte, cose così. Negli anni Novanta sono stato per sei anni alla
Fondazione Getty in California. Il ritorno in Italia è stato traumatico
per come si era deteriorato il senso della vita civile. Cominciai
occupandomi della vendita del patrimonio culturale. Ne è nato il volume
"Italia SpA". Ha avuto 150 recensioni: compresi bollettini parrocchiali e
quello degli scaricatori del porto di Livorno. Così sono entrato in
contatto con tanti piccoli movimenti locali: contro la cementificazione
di una salina o la modifica di un palazzo storico. Poi ho scritto un
secondo libro, sul paesaggio. Si è ripetuto lo stesso scenario. Mi
invitavano parroci, insegnanti delle scuole. Ho avuto 300 incontri con
il pubblico. Ho capito che le persone impegnate in vari comitati (ce ne
sono 30 mila in Italia, vuol dire che almeno 3 milioni di cittadini ne
fanno parte) erano in cerca di munizioni. Ecco la genesi di questo terzo
libro».
E il richiamo populistico? «Siccome
ne sono consapevole, ho voluto aggiungere il sottotitolo "Cittadini per
il bene comune". Si tratta dell'esercizio dei diritti di cittadinanza.
Comunque azione popolare allude ad "actio popularis" del diritto romano:
il diritto di un singolo cittadino di agire a nome dello Stato,
dell'interesse generale, direi oggi».
In concreto?«Vorrei
che riportassimo le nostre battaglie locali sul terreno dell'interesse
generale, appunto. Rendiamoci conto che la lotta dei sindacati contro
l'abolizione dell'articolo 18 e quella dei cittadini di Siracusa per non
costruire sopra il Teatro greco, pur diverse nella forma, sono la
stessa cosa».
Dove vuol arrivare?«A
ragionare sui beni comuni. Siamo figli di una genealogia che viene da
lontano, dal "bonum commune communitatis" presente negli statuti
medievali delle città italiane. Con la Rivoluzione francese e
l'Illuminismo tutto questo si è collegato al discorso dell'interesse
generale. Ricostruire quel filo è importante in questa fase, perché con
il mio discorso voglio arrivare anche ai cittadini di destra. Ci sono
dei valori fondamentali. Ci sono sindaci leghisti bravi e del Pd
orribili, per quanto riguarda l'uso del suolo e la tutela del
paesaggio».
L'indignazione, vero tema del suo libro, non è antipolitica?«Per
me l'antipolitica sono i mercati: la principale forza che è contro la
politica. L'antipolitica è quella, poteri occulti anonimi, non
controllati né da Stati né da cittadini e che si circondano di un'aura
di sacralità. Ho letto ultimamente su un giornale la frase: "arriverà il
giudizio universale dei mercati". È un linguaggio religioso,
metafisico. Il mercato è dio».
Con il governo Monti è cambiato il linguaggio in Italia? «Finalmente
abbiamo un presidente del Consiglio che parla dell'evasione fiscale. È
un cambiamento di lessico notevole. Neanche Prodi, D'Alema, Amato ne
hanno parlato, se non in sordina e scusandosi per il disturbo. Però,
tante altre cose sono rimaste invariate. E guarda caso i tecnici del
governo tecnico che fanno più acqua sono quelli che si occupano della
cultura. Ai Beni culturali c'è una persona (Ornaghi) che non solo non è
un tecnico, ma cui non interessa il dicastero che deve dirigere, e del
resto ignora la materia. Questo esecutivo non ha fatto niente per
correggere le storture dei governi di centro destra per quanto riguarda
la cultura, la ricerca, l'istruzione. Ho stima di Monti ma sono deluso:
mentre in Francia e in Germania si investe in cultura, qui si taglia. Da
questo punto di vista il linguaggio non è cambiato: rimane il dogma del
mercato».
La sinistra?«Succube della
cultura di destra. Un esempio? Un tabù: Marx. Si preferisce l'abbraccio
mortale con Berlusconi pur di non pronunciare questo nome. Eppure Marx
fa un'analisi eccellente su come denaro generi denaro. Cose attualissime
oggi. Mi colpisce che si parli sempre della modernizzazione come se
fosse un termine univoco e neutrale. E infatti, la differenza tra la
modernità di Berlusconi e quella di Bersani non è evidente nei programmi
del leader del Pd. La sua idea della modernizzazione è la stessa della
destra, ma con un po' di più d'attenzione per il sociale. Il principale
responsabile di questa stortura è D'Alema, cui manca ogni orizzonte
politico, ne ha solo uno tattico, e spesso finisce in sconfitta. Di
Renzi poi, non ne parliamo».
Soluzione?«Tornare
alla Costituzione. Che afferma il diritto al lavoro, all'istruzione
(diceva Calamandrei che la scuola è un organo costituzionale), tutela il
paesaggio».
Parliamone del paesaggio. «Un
esempio. I Templi di Agrigento sono passati - in nome del federalismo
demaniale - alla Regione Sicilia. Quindi n on sono più di cittadini
italiani. E il sindaco di Agrigento voleva metterli all'asta da
Sotheby's. Una stupidaggine, che rileva però quanto tutto è ormai
monetizzabile. Si dimentica che il demanio e i diritti sono legati l'uno
all'altro. Il portafoglio patrimoniale che abbiamo garantisce i nostri
diritti: alla salute, al lavoro. Se vendiamo tutto per sanare il debito
pubblico, diventiamo solo più poveri».
Nel suo libro,
lei cita Antigone per affermare la priorità del diritto sulla legge. Ma
se Creonte è solo un mascalzone, e se tutti facessimo ciò che sentiamo
giusto , non esisterebbe la polis.«Infatti, c'è bisogno
anche di Creonte. Ma le leggi sono spesso ad personam (Berlusconi). Ecco
perché esiste un principio supremo: quello sancito dalla nostra
Costituzione che poi significa la legalità. E attenzione, già che
parliamo delle leggi. Chi, spesso a sinistra, afferma che i magistrati
hanno sempre ragione, finisce per deresponsabilizzare i cittadini e i
leader politici. È una pericolosa deriva giustizialista».
Ultima domanda. Prendiamo Pompei, tra crolli e scandali, come simbolo. Cosa si può fare per i beni culturali, per preservarli. «Il
ministero dei Beni culturali così come è adesso è una specie di ghetto.
Per questo ci vanno ministri di serie B. Occorre invece unirlo con il
ministero dell'Ambiente. Poi occorre aumentare le risorse alla cultura, e
basterebbe tornare al livello di cinque anni fa. Infine, bisogna
rivedere il sistema delle soprintendenze territoriali, indire concorsi e
assumere anche cittadini non italiani. Aggiungo: rinegoziare il
rapporto tra Stato, comuni e regioni per quanto riguarda la gestione del
territorio. E questo sulla base della Costituzione che prevede che la
tutela del paesaggio è uguale in tutta l'Italia. Mentre oggi, quella
siciliana funziona meno rispetto a quella piemontese ad esempio, perché
troppo autonoma».
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