LA LETTERA D'INTENTI
Italia ce la farà se ce la
faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che
studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva
le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza.
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L’Italia perderà se abbandonerà
l’Europa e si rifugerà nel suo spirito corporativo, se prevarrà l’interesse
del più ricco o del più arrogante. Se speranza e riscatto non saranno il
capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti.
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Questa Carta d’Intenti vuole
descrivere l’Italia che ce la può fare, che ce la può fare ricostruendo basi
etiche e di efficienza economica; che ce la può fare con uno sforzo comune in
cui chi ha di più dà di più....
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Sappiamo che la politica ha le
sue colpe. E che quanto più profonda si manifesta la crisi, tanto più le
classi dirigenti devono testimoniare il meglio: nella competenza, nella
condotta, nella coerenza. Questo sarà il nostro impegno e la bussola per il
nostro compito. Con la stessa sincerità, diciamo che non siamo tutti uguali.
Non sono uguali i partiti, le persone, le responsabilità. Gli italiani sono
finiti dove mai sarebbero dovuti stare perché a lungo sono stati governati
male. Noi vogliamo chiudere quella pagina e aprirne un’altra.
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L’Italia, come altre grandi
nazioni, è immersa nella fine drammatica di un ciclo della storia che ha
occupato l’ultimo trentennio. La gravità del quadro elimina molte certezze.
Ma sono proprio le grandi rotture a dettare le regole del futuro. Nel senso
che da una crisi radicale – dell’economia e della democrazia – non si esce
mai come si è entrati. Le crisi cambiano il paesaggio, le persone, il modo di
pensare. La sfida è spingere quel mutamento verso un progresso e un civismo
più solidi, retti, condivisi. Davanti a noi, adesso, c’è una scelta di questo
tipo: se
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batterci per migliorare tutti
assieme o rinunciare a battersi. Se credere nelle risorse del Paese o
affidarsi – e sarebbe una sciagura – alle risorse di uno solo. Se unire le
energie disponibili e ripensare assieme l’Europa, o attendere che altri
scelgano e dicano per noi.
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Questo è il momento di decidere
cosa vogliamo diventare. Quale ruolo dare a una nazione con la nostra
tradizione, situata nel cuore di un Mediterraneo che le rivolte giovanili
stanno modificando come mai era accaduto. Quale democrazia rifondare, dopo
una crisi che ha corretto i confini della sovranità dei singoli stati.
Insomma questo è il momento di ricostruire l’Italia che lasceremo a chi verrà
dopo.
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Il prossimo Parlamento e il governo che gli elettori sceglieranno
avranno tre compiti decisivi. Dovranno guidare l’economia fuori dalla crisi
rimettendola salda sulle gambe. Dovranno ridare autorità, efficienza e
prestigio alle istituzioni e alla politica, ripartendo dai principi della
Costituzione. Dovranno rilanciare – in un gioco di squadra con le altre
nazioni e i loro governi – l’unità e l’integrazione politica dell’Europa.
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Vogliamo dunque proporre la
traccia di una discussione aperta sull’Italia attorno ad alcune idee
fondamentali. Cerchiamo un patto con le forze politiche democratiche,
progressiste e di una sinistra di governo, con movimenti e associazioni, con
amministratori, con ogni persona e personalità che voglia contribuire a un
progetto per uscire da una crisi senza eguali nella nostra memoria. Una crisi
che affrontiamo con la zavorra di un debito pubblico da ridurre drasticamente
e che richiederà scelte responsabili, di rigore e allo stesso tempo di enorme
coraggio. Bisogna vedere i problemi e insieme cogliere le occasioni.
L’Italia è in grado di farlo ma deve avere più fiducia nei suoi mezzi e meno paura
del viaggio che dobbiamo fare. Non è più tempo di “contratti”, promesse,
sogni appesi a un filo. Adesso è tempo di ripartire. Perché il peggio può
essere alle nostre spalle. Se lo vogliamo.
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1 Visione
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Noi non crediamo all’ottimismo
delle favole, quello venduto nel decennio disastroso della destra. Crediamo,
invece, in un risveglio della fiducia e soprattutto nel futuro degli
italiani, a cominciare dai più giovani e dalle donne. I problemi sono enormi
e il tempo per aggredirli si accorcia. Le scelte da compiere non sono
semplici né scontate. Ma la speranza che ci muove vive tutta nella
convinzione che si possano combinare rigore e cambiamento. Che si possa
agganciare la crescita in un quadro di equità.
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Il nostro posto è in Europa. Lì
dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza
che l’Italia non meritava. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia
nel cuore di un’Europa da ripensare e, in qualche misura, da rifondare. Lo
faremo assieme a quelle forze progressiste che cercano in un tempo difficile
di non tradire il sogno di un’Europa unita nell’impronta della sua civiltà.
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In “casa” dovremo colmare la
faglia che si è scavata tra cittadini e politica. Qui non bastano le parole.
Serviranno i comportamenti, le azioni, le coerenze. Cercheremo di andare
nella direzione giusta: di fare in modo che la buona politica e una riscossa
civica procedano affiancate. Il traguardo è ricostruire quel patrimonio
collettivo che la destra e i populismi stanno disgregando: la qualità della
democrazia, la dignità di ciascuno, legalità, cittadinanza, partecipazione.
La realtà è che mai come oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare
bene davvero, se gli altri continuano a stare male: è questo il principio a
base del nostro progetto, sia nella sfera morale e civile che in quella
economica e sociale.
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Vogliamo che il destino
dell’Italia sia figlio della migliore civiltà dell’Europa e che insieme
riscopriamo la necessità di sentirci vicino a chi nel mondo si batte per la
libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Lo scriviamo nella coscienza
che la grandezza e la tragedia del ‘900 in Europa si misurano in una sola
parola: la pace. La conquista faticosa di un continente che, con la tragica
eccezione dei Balcani, ha conosciuto nella seconda metà del secolo la sua
riconciliazione. Oggi, in un mondo in subbuglio, pace, cooperazione,
accoglienza, devono ispirare di nuovo il discorso pubblico. Nella coscienza
dei singoli come nella diplomazia degli Stati.
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Con questa visione noi, democratici
e progressisti, ci candidiamo alla guida del Paese.
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2 Democrazia
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Dobbiamo sconfiggere
l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo
solo al comando. E’ una strada che l’Italia ha già percorso, e
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sempre con esiti disastrosi. In
democrazia ci sono due modi di concepire il potere. Usare il consenso per
governare bene. Oppure usare il governo per aumentare il consenso. La prima è
la via del riformismo. La seconda è la scorciatoia di tutti i populismi e si
traduce in una paralisi della decisione.
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Per noi il populismo è il
principale avversario di una politica autenticamente popolare. In questi
ultimi anni esso è stato alimentato da un liberismo finanziario che ha
lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole. La destra
populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo
finanziario innalzando barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe.
Anche quando questo populismo ha pescato il suo consenso all’interno di un
disagio diffuso e reale, il suo esito è sempre stato antipopolare.
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La sola vera risposta al
populismo è in una partecipazione rinnovata come base della decisione. E
questo perché la crisi della democrazia non si combatte con “meno” ma con
“più” democrazia. Il che significa più rispetto delle regole, una netta
separazione dei poteri e l’applicazione corretta e integrale di quella
Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo. In questo
senso siamo convinti che il suo progetto di trasformazione civile, economica
e sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto.
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Vogliamo dare segnali netti
all’Italia onesta che cerca nelle istituzioni un alleato contro i violenti, i
corruttori e chiunque si appropri di risorse comuni mettendo a repentaglio il
futuro degli altri. Per noi ciò equivarrà alla difesa intransigente del
principio di legalità, a una lotta decisa all’evasione fiscale, al contrasto
severo dei reati contro l’ambiente, al rafforzamento della normativa contro
la corruzione e a un sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli
amministratori impegnati contro mafie e criminalità, vero piombo nelle ali
per l’intero Paese. Sono questi gli impegni inderogabili e le coerenze
richieste alla politica se vogliamo che i cittadini abbiano di nuovo fiducia
nella democrazia.
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Sulla riforma dell’assetto
istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e
rafforzato, con un ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di
equilibrio assegnata al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un
federalismo responsabile e bene ordinato che faccia delle autonomie un punto
di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese. Sono poi essenziali
norme stringenti in materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust
e libertà dell’informazione, secondo quei principi liberali che la destra
italiana disconosce. Bisogna attuare a tutti i livelli la democrazia
paritaria nell’idea che autonomia e responsabilità delle donne siano una leva
essenziale della crescita. Ma soprattutto daremo vita a un meccanismo
riformatore che dia finalmente concretezza e certezza di tempi alla funzione
costituente della prossima legislatura.
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Infine, ma non è l’ultima delle
priorità, la politica deve recuperare autorevo
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lezza, promuovere il
rinnovamento, ridurre i suoi costi e la sua invadenza in ambiti che non le
competono. Serve una politica sobria perché se gli italiani devono
risparmiare, chi li governa deve farlo di più. A ogni livello istituzionale
non sono accettabili emolumenti superiori alla media europea. Ma anche questo
non basta. Va approvata una riforma dei partiti, che alla riduzione del
finanziamento pubblico affianchi una legge di attuazione dell’articolo 49
della Costituzione, e bisogna agire per la semplificazione e
l’alleggerimento del sistema istituzionale e amministrativo. Occorrono piani
industriali per ogni singola amministrazione pubblica al fine di produrre
efficienza e risparmio. Riconoscere il limite della politica e dei partiti
significa anche aprire il campo alle richieste d’impegno e mobilitazione che
maturano nella società ed alle competenze che si affermano. Tutto ciò dovrà
essere messo al concreto a cominciare dalle nomine in enti, società pubbliche
e autorità di sorveglianza e da criteri di selezione nelle funzioni di
governo.
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3 Europa
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La crisi che scuote il mondo
mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo
l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di affrancare
l’Italia dai guasti del collasso liberista, e quindi le sorti
dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Insomma
non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto
europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola:
nulla senza l’Europa.
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Per riuscirci agiremo in due
direzioni. In primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti
europei. Se l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari,
diventano un dogma e un obiettivo in sé – senza alcuna attenzione per
occupazione, investimenti, ricerca e formazione – finiscono per negare se
stessi. Adesso c’è bisogno di correggere rotta, accelerando l’integrazione
politica, economica e fiscale, vera condizione di una difesa dell’Euro e di
una riorganizzazione del nostro modello sociale.
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La sfida – e questa è la
seconda direzione da imboccare – è portare a compimento le promesse tradite
della moneta unica e integrare la più grande area commerciale del pianeta –
perché questo siamo, e tuttora – in un modello di civiltà che nessun’altra
nazione o continente è in grado di elaborare.
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Salvare l’Europa nel pieno
della crisi significa condividere il governo dell’emergenza finanziaria secondo
proposte concrete che abbiamo da tempo avanzato assieme ai progressisti
europei. Tali proposte determinano una prospettiva di coordinamento delle
politiche economiche e fiscali. E dunque nuove istituzioni comuni, dotate di
una legittimazione popolare e diretta. A questo fine i progressisti devono
promuovere un patto costituzionale con le principali famiglie politiche
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europee. Anche per l’Europa,
infatti, la prossima sarà una legislatura costituente in cui il piano
nazionale e quello continentale saranno intrecciati stabilmente. Una
legislatura nella quale dovrà rivivere l’orizzonte ideale degli Stati Uniti
d’Europa. Qui vive la ragione che ci spinge a cercare un accordo di
legislatura con le forze del centro moderato. Collocare il progetto di governo
italiano nel cuore della sfida europea significa essere alternativi alle
regressioni nazionaliste, antieuropee e populiste, da sempre incompatibili
con le radici di un’Europa democratica, aperta, inclusiva.
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4 Lavoro
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La nostra visione assume il
lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la
dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e
in Europa. Questa è anche la premessa per riconoscere la nuova natura del conflitto
sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra
impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone
che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella
dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il
tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita
finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste, oltre i confini
tradizionali del patto tra produttori. La battaglia per la dignità e
l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi il lavoratore precario come
l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore
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o artigiano non meno
dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari
dell’insegnante o del ricercatore universitario.
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Il primo passo da compiere è un
ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e
sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e
immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le
scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una
competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che rimasti
orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse
stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è
spezzare la spirale per-versa tra bassa produttività e compressione dei
salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della
qualità e dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro
sistema. Quarto passo è mettere in campo politiche fiscali a sostegno
dell’occupazione femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi
per la nostra economia, in particolare al Sud. Farlo significa impegnarsi per
sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e
delle professioni. A tale scopo è indispensabile alleggerire la distribuzione
del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una riforma del
welfare e varando un piano straordinario per la diffusione degli asili nido.
Anche grazie a politiche
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di questo tipo sarà possibile
sostenere concretamente le famiglie e favorire una ripresa della natalità.
Insomma sul punto non servono altre parole: bisogna fare del tasso di
occupazione femminile e giovanile il misuratore primo dell’efficacia di tutte
le nostre strategie.
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Infine, il lavoro è oggi per
l’Italia lo snodo tra questione sociale e questione democratica. Fondare sul
lavoro e su una più ampia democrazia nel lavoro, la ricostruzione del Paese
non è solo una scelta economica, ma l’investimento decisivo sulla qualità
della nostra democrazia. Questo se pensiamo – e noi ne siamo convinti – che
il lavoro non sia solo produzione, ma rete di relazioni, equilibrio
psicologico, progetto e speranza di vita; la possibilità offerta a ciascuno
di noi di trasformare la realtà.
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5 Uguaglianza
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L’Italia è divenuta negli anni
uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa trova
origine – negli Stati Uniti come in Europa – da un aumento senza precedenti
delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un problema enorme di
redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a
rischio i fondamenti del welfare.
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Sull’altro fronte, la ricchezza
finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è
di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. E però non si esce dalla crisi
se chi ha di più non è chiamato a dare di più. In altre parole, è la crisi
stessa a insegnarci che la giustizia sociale non è pensabile come derivata
della crescita economica, ma ne fonda il presupposto. Ciò significa che la
ripresa economica richiede politiche di contrasto alla povertà, anche in un
Paese come il nostro dove il fenomeno sta assumendo caratteri nuovi e
dimensioni angoscianti. I “nuovi poveri”, per altro, continuano ad assistere
allo scandalo di rendite o emolumenti cresciuti a livelli indecenti, a
ricchezze e proprietà smodate che si sottraggono a qualunque vincolo di
solidarietà. A tutto questo bisogna finalmente mettere un argine.
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Per noi parlare di uguaglianza
significa guardare la società con gli occhi degli “ultimi”. Di coloro che per
vivere faticano il doppio: perché sono partiti da più indietro o da più
lontano o perché sono diversamente abili. Se poi guardiamo alle generazioni
più giovani, il tema dell’uguaglianza si presenta prima di tutto come
possibilità di scelta e parità delle condizioni di accesso alla formazione,
al lavoro, a un’affermazione piena e libera della loro personalità. Superare
le disuguaglianze di genere è l’altra grande sfida per ricostruire il Paese
su basi moderne e giuste. Non a caso, ancora una volta, il simbolo più forte
di una riscossa civica e morale è venuto dal movimento delle donne. Su
questo piano la politica, il Parlamento e il governo devono assumere la
democrazia paritaria
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come traguardo della democrazia
tout court.
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Nessun discorso
sull’uguaglianza sta in piedi se non si rimette il Mezzogiorno al centro
dell’agenda. Le disuguaglianze territoriali, infatti, sono sempre anche
disuguaglianze nei diritti e nelle opportunità. L’Italia è cresciuta quando
Sud e Nord hanno scelto di avanzare assieme. Viceversa quando la forbice si è
allargata, l’Italia tutta si è distanziata dall’Europa. Sostenere, come la
destra ha fatto per anni, che il Nord poteva farcela da solo è stato un modo
ipocrita di blandire una parte del ceto produttivo. Tutt’altra cosa è
combattere sprechi e inefficienze con una nuova strategia nazionale
d’intervento. Il punto è farlo assieme al senso di responsabilità di tante
amministrazioni e movimenti meridionali impegnati a correggere le storture di
vecchi regionalismi e localismi clientelari e a promuovere legalità, civismo
e lavoro.
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Infine, al capitolo
dell’uguaglianza è legata a filo doppio la questione di una giustizia civile
e penale al servizio del cittadino. Su questo piano è superfluo ricordare che
gli anni della destra al governo hanno sprangato ogni spiraglio a un
intervento riformatore. Diciamo che si sono occupati pochissimo dello stato
di diritto e molto del diritto di uno soltanto che si riteneva proprietario
dello Stato. Ma così a pagare due volte sono stati i cittadini più deboli:
quelli che hanno davvero bisogno di una giustizia civile e penale rapida,
imparziale, efficiente. Nella prossima legislatura il tema dovrà essere
affrontato dal punto di vista della dignità e dei diritti di tutti e non più
dei potenti alla ricerca d’impunità.
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6 Sapere
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La dignità del lavoro e la
lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per
l’istruzione e la ricerca. Non c’è futuro per l’Italia senza un contrasto
alla caduta drammatica della domanda d’istruzione registrata negli ultimi
anni. E’ qualcosa che trova espressione nell’abbandono scolastico, nella
flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei
ricercatori e nella demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre
meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale.
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In questo caso più che dalle
tante indicazioni programmatiche, conviene partire da un principio: nei
prossimi anni, se vi è un settore per il quale è giusto che altri ambiti
rinuncino a qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. Dalla scuola
dell’infanzia e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è
avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non
abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di
possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi
dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale
carica di emancipazione e realizzazione di sé.
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A fronte di questo impegno,
garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come
riferimento il grado di preparazione degli studenti e il
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10
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raggiungimento degli obiettivi
formativi. La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un
quindicennio di riforme inconcludenti e contraddittorie, hanno ricevuto
nell’ultima stagione un colpo quasi letale. Ora si tratta di avviare un’opera
di ricostruzione vera e propria. Nella prossima legislatura partiremo da un
piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone
a più forte infiltrazione criminale, dal varo di misure operative per il
diritto allo studio, da un investimento sulla ricerca avanzata nei settori
trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del
valore universalistico della formazione, della promozione della ricerca
scientifica e della ricerca di base in ambito umanistico.
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7 Sviluppo sostenibile
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Sviluppo sostenibile per noi
vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella
globalizzazione, quella del saper fare italiano. Sarebbe sciocco pensare che
nel mondo nuovo l’Italia possa inseguire nazioni molto più grandi e popolose
di noi. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che sappia fare
l’Italia. Da sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il
gusto, la duttilità, la tecnica e la creatività, materie prime spesso
acquistate all’estero. O di usare al meglio il nostro territorio, che non è
solo arte e bellezza naturale, ma bacino di risorse, creatività, talento.
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Il decennio appena trascorso è
stato particolarmente pesante per il nostro sistema produttivo. L’ingresso
nell’euro e la fine della svalutazione competitiva hanno prodotto, con la
concorrenza della rendita finanziaria, una caduta degli investimenti in
innovazione tecnologica e nella capitalizzazione delle imprese, con l’aumento
dell’esportazione di capitali. Anche in questo caso è tempo di cambiare
spartito e ridare centralità alla produzione. Una politica industriale
“integralmente ecologica” è la prima e più rilevante di queste scelte. Si
tratta di sviluppare prodotti e servizi innovativi in quei settori che, in un
mercato globale sempre più attento alle sfide ambientali, rendano l’Italia
un punto di riferimento essenziale.
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Noi immaginiamo un
progetto-Paese che individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di
innovazione verso le quali orientare il sistema delle imprese,
nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi. La qualità e le tipicità,
mobilità sostenibile, risparmio ed efficienza energetica, le scienze della
vita, le tecnologie legate all’arte, alla cultura e ai beni di valore
storico, l’agenda digitale, le alte tecnologie della nostra tradizione.
Bisogna inoltre dare più forza e prospettiva alle nostre piccole e medie
imprese aiutandole a collegarsi fra loro, a capitalizzarsi, ad accedere alla
ricerca ed alla internazionalizzazione. C’è molto da fare. Mettere al centro
in Italia l’economia reale e le forze che la
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promuovono, è un grande tema
politico e culturale. Una vera svolta, dopo gli anni di una destra che ha
lasciato nell’oscurità le prospettive produttive del Paese.
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8 Beni comuni
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Per noi sanità, istruzione,
sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non dev’esserci il
povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del
mercato e dei profitti. Sono beni comuni – di tutti e di ciascuno – e
definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.
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Ancora, l’energia, l’acqua, il
patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo
sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che
devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla
qualità delle prestazioni.
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Per tutto questo, introdurremo
normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in
alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità
pubbliche dei servizi. In ogni caso non può venir meno una responsabilità
pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità di accesso
e la sostenibilità nel lungo periodo.
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La difesa dei beni comuni è la
risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a
manifestarsi anche tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono
stati un’espressione fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione
e l’assenza di regole siano sempre e comunque la ricetta giusta. Non si
tratta per questo di tornare al vecchio statalismo o a una diffidenza
preventiva verso un mercato regolato. Il punto è affermare l’idea che questi
beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto una presa in
carico da parte della comunità.
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In questo disegno la maggiore
razionalità e la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono
essenziali, non solo per la funzione regolativa che sono chiamati a svolgere,
ma perché il presidio di democrazia, partecipazione e servizi che assicurano
è in sé uno dei beni più preziosi per i cittadini. Superare le duplicazioni,
riqualificare la spesa, devono perciò accompagnarsi ad un nuovo e rigoroso
investimento sul valore dell’autogoverno locale che, soprattutto nella crisi,
non va visto, così come ha fatto la destra, come una specie di malattia, ma
piuttosto come una possibile medicina. A sua volta l’autogoverno locale deve
offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà, alle forme di partecipazione
civica, ai protagonisti del privato sociale e del volontariato.
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12
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9 Diritti
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Per i democratici e i
progressisti la dignità della persona umana e il rispetto dei diritti
individuali sono la bussola del mondo nuovo e la cornice generale entro cui
trovano posto tutte le nostre scelte di programma.
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La storia per altro insegna – e
questa crisi lo conferma – che non esiste una gerarchia dei diritti e che
l’azione per il loro riconoscimento e la loro affermazione vive di una
tensione continua sul piano politico e sociale. In particolare, noi guardiamo
oggi nel mondo alla lotta di popoli interi per la difesa dei diritti umani, a
iniziare da quelli delle donne. E crediamo sia compito della politica, dei
parlamenti e dei governi affermare l’indivisibilità dei diritti: politici,
civili e sociali.
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Anche su questo terreno
l’Europa è per la politica dei singoli Stati un riferimento essenziale. A
partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata
per la prima volta a Nizza nel 2000 e dal Piano europeo di contrasto alle
discriminazioni: di genere, orientamento sessuale, etnia, religione, età,
portatori di differenti abilità.
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Nel nostro caso questo
significa l’impegno a perseguire il contrasto verso ogni violenza contro le
donne e a una legge urgente contro l’omofobia. Sul piano dei diritti di
cittadinanza l’Italia attende da troppo tempo una legge semplice ma
irrinunciabile: un bambino, figlio d’immigrati, nato e cresciuto in Italia, è
un cittadino italiano. L’approvazione di questa norma sarà simbolicamente il
primo atto che ci proponiamo di compiere nella prossima legislatura.
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Daremo sostanza normativa al
principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia
omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il
riconoscimento giuridico
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Su temi che riguardano la vita
e morte delle persone, la politica deve coltivare il senso del proprio
limite e il legislatore deve intervenire sempre sulla base di un principio di
cautela e di laicità del diritto. Per evitare i guasti di un pericoloso
“bipolarismo etico” che la destra ha perseguito in questi anni, è necessario
assumere come riferimento i principi scolpiti nella prima parte della nostra
Costituzione e, a partire da quelli, procedere alla ricerca di punti di
equilibrio condivisi, fatte salve la libertà di coscienza e l’inviolabilità
della persona nella sua dignità.
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10 Responsabilità
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L’Italia ha bisogno di un
governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che
democratici e progressisti hanno di fronte è
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quello dell’affidabilità e
della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo
a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche,
singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto,
vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e
vincolanti.
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Le forze della coalizione, in
un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno impegnare a:
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•
sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione
del premier scelto con le primarie;
•
affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la
responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche
di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e
credibilità interna e internazionale;
•
vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o
provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi
parlamentari convocati in seduta congiunta;
•
assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione,
degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno
esserlo in un prossimo futuro;
•
appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e
istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere
la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale
dell’eurozona.
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