"Il PD si sta impegnando perché ci sia una piattaforma comune dei progressisti europei, così che nella crisi già si veda finalmente un'Europa come comunità e non solo come tavolo di nazioni". Dichiarazione di voto di Pier Luigi Bersani alla Camera dopo il discorso del premier Monti sulla politica europea dell'Italia -
Signor Presidente, come si sa noi sosteniamo lealmente e con le nostre idee il Governo Monti, che per noi è un Governo di emergenza e di impegno nazionale. Fuori sacco dirò che al Governo di emergenza formuliamo l'auspicio che voglia presidiare visibilmente emergenze sociali che si mostrano nel Paese; un Paese che deve essere guardato in faccia certamente nell'esigenza di riforma, ma anche nelle difficoltà più immediate ed acute che sta vivendo. Al Governo di impegno nazionale - arrivo al tema di oggi - chiediamo, fra le altre cose, di rimettere in carreggiata il nostro ruolo europeo e di ridarci il nostro profilo europeo, che non è quello di parlare di Europa come se si bussasse alla porta di casa altrui per vedere se qualcuno ce la apre, ma parlarne come si parla della casa comune, che in questo momento sta pericolosamente incrinandosi, parlare da Paese fondatore cioè, che non rinuncia all'obiettivo storico dell'unità federale dell'Europa.
Dentro la crisi, quel grande obiettivo - voglio dirlo semplicemente e chiaramente - rischia di sfuggirci di mano e l'euro rischia di diventare non il nuovo inizio ma la colonna d'Ercole del sogno europeo. Dobbiamo assolutamente reagire, partendo certamente dalle questioni economiche e finanziarie, ma senza fermarci lì. Sul tema economico e della finanza pubblica, al di là delle diplomazie, credo vada detto con chiarezza che questa divisione dell'Europa in buoni e cattivi ci sta portando ad un disastro collettivo.
È vero, dopo l'euro i Paesi più indebitati avrebbero dovuto approfittare del calo dei tassi per aggiustare le cose a casa propria, è vero, e me lo si lasci dire, conti alla mano e per amor di verità, questo fu fatto dai Governi di centrosinistra, che lasciarono, andandosene via, un avanzo primario superiore al 3 per cento. Obiettivamente e conti alla mano non fu fatto dopo e adesso dobbiamo e vogliamo rimediare, ma è altrettanto vero che l'euro è stato un toccasana per dei surplus come quello tedesco. Un grande tedesco, il cancelliere Helmut Schmidt, in un recente discorso che andrebbe letto nelle scuole, secondo me, ha detto: «Gli avanzi di noi tedeschi sono in realtà i deficit degli altri».
E non si dica quindi - come ha detto qualcuno della stessa lingua del Cancelliere, ma non dello stesso spirito - che l'Italia può farcela da sola, perché nessuno ce la fa da solo, e del resto non ce la fece da sola la Germania quando dopo il muro cercò la sua nuova strada. Non fece da sola, fece con l'Europa, e l'euro fu il pegno di un equilibrio che non alludeva solo all'economia ma alla promessa, presa in un momento cruciale, di un destino comune dell'Europa. È quella promessa che è in gioco oggi, e Pag. 96bisogna trovare il modo di dirlo, non meno di questo. E solo cosa da economisti o dei mercati trovare una strada comune? No, non può essere che la più grande piattaforma economica del mondo diventi l'epicentro del problema. Non può essere che il migliore esempio di equilibrio fra economia e società che si è visto al mondo diventi un esempio negativo da cui guardarsi, e non è possibile stare qui col cuore in mano a vedere cosa succede del debito greco, di un Paese che, con tutto il rispetto, ha il 3 per cento del PIL europeo. Non è possibile...
Quindi, mezze parole, mezze decisioni, passi a metà, non servono più. Se è così è meglio risparmiare le riunioni, insomma. Il messaggio deve essere chiaro, è un messaggio politico fondamentalmente e deve, più o meno, dire così: non passeranno, non passerete, l'euro lo difendiamo assieme, contrasteremo la recessione con degli strumenti orientati all'occupazione e alla crescita, faremo pagare alla finanza un po' di quel che ha provocato perché tutto non ricaschi sul welfare e sull'occupazione. È questo il messaggio. E poi gli strumenti sono strumenti, e il mondo deve capire che noi con giudizio, con equilibrio, ma siamo pronti ad usarli tutti: si chiami BCE, si chiami salvastati un po' più funzionante e potenziato, si chiami tassa sulle transazioni finanziarie, si chiami eurobond, si chiami project bond, e si chiami certamente anche meccanismo di disciplina dei bilanci, si, meccanismo di disciplina dei bilanci, e cercando di evitare dei barocchismi che, mescolando metodo comunitario e metodo governativo, diventano ingestibili. Se non li capiamo noi come può il mondo capirli?
Bisogna assolutamente sollevare questo problema, e anche gli obiettivi di disciplina devono essere credibili. Io so che posso dire delle cose che un Governo non può dire, vado un po' così - come si dice - a sentimento, ma - insomma - devono essere credibili, se no, sono inutili.
Venir via dal debito ai ritmi matematici nel modo - dirò così - azzardato, inavvertito, con cui noi abbiamo sottoscritto, non esiste, no? Alle cose impossibili nessuno è tenuto. Quindi, benissimo adesso aggiustarli con criteri di riferimento. So che lei, Presidente, sta combattendo su questo punto con grande determinazione. Ne siamo contenti, ma - insomma - alla fine, se non è credibile un meccanismo, non ci andiamo di mezzo solo noi, ci va di mezzo l'insieme delle misure che si prendono. Noi non siamo la Grecia. Mettere noi di fronte all'impossibile, significa mettere l'Europa di fronte all'impossibile. Bisogna ragionare.
Quello che sto dicendo non toglie nulla all'impegno dell'Italia sia nella disciplina sia nelle riforme strutturali; toglie solo l'idea che si possa farci avvitare in meccanismi di recessione- manovra e manovra-recessione. Questo non può essere. Noi il primo passo lo stiamo facendo sul contenimento dei conti, sulle riforme. Il secondo passo lo facciamo con l'Europa. Non lo chiediamo all'Europa, lo facciamo con l'Europa, ma senza questo secondo passo assieme nessuno va da nessuna parte.
Infine, Presidente, il PD si sta impegnando perché ci sia una piattaforma comune dei progressisti europei, così che nella crisi già si veda finalmente un'Europa come comunità e non solo come tavolo di nazioni. Nel profondo, Presidente, noi crediamo di sapere perché non si fa quello che tutti vedono che si dovrebbe fare. Sappiamo perché in larghe parti delle opinioni pubbliche, non solo tedesche, è diventato più accettabile farsi consapevolmente del male con l'egoismo che salvarsi con la solidarietà.
Questo è passato nelle opinioni pubbliche lungo questi anni, perché sotto l'afflusso della globalizzazione si è coltivata l'idea che davanti al mondo nuovo ci dovesse essere chi ce la fa e chi non ce la fa, che fosse un individuo, un territorio, una corporazione o una nazione. Questo è passato, questo ci ha lasciato nudi davanti al problema che abbiamo. E qui le fortune politiche di un populismo che alligna ovunque in Europa, dalla Finlandia fino a noi, passando per Ungheria e per la Germania. Tutti i Paesi. L'Europa come capro espiatorio, come alibi, l'Europa che viene azzoppata, resa muta, resa sorda tutta la settimana e, poi, la domenica deve correre, sentire e parlare. Ma quante volte all'uscita dai vertici europei - mi rivolgo ai colleghi leghisti - abbiamo sentito dire che era passata la linea dell'Italia, ma poi durante la settimana si è insultata l'Europa? Bella linea, bella linea che ognuno fa da sé e adesso siamo nei guai tutti.
Noi sottoscriviamo con grande convinzione l'impegno che stiamo prendendo e mi piace molto il fatto che lo prendiamo larghissimamente in questo Parlamento; noi ci impegniamo come partito per quel che possiamo a suscitare con tutti i progressisti europei nelle prossime sfide, elettorali e politiche, un moto d'opinione democratico ed europeista che aggiorni e ribadisca i capisaldi di un modello sociale unico al mondo che ci rifiutiamo di vedere svilito e distrutto.
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