REGOLE uniche per le pensioni,
regole uniche anche nel mercato del lavoro. È l'obiettivo che si è dato il
governo Monti. Dopo quindici anni di flessibilità spinta che ha portato a oltre
quaranta tipologie contrattuali (dal lavoro in affitto fino al job on call, una
vera giungla contrattuale) e che ci lascia, però, un tasso di occupazione
giovanile tra i più bassi d'Europa (circa il 47 per cento contro una media Ue
che viaggia intorno al 60 per cento), si è deciso di voltare pagina. Non un ritorno al passato, ormai
improponibile nella competizione globale, ma il tentativo di chiudere la lunga
stagione del dualismo nel mercato del lavoro: da una parte i protetti dalle
leggi e dai contratti, dall'altra i precari quasi senza leggi e diritti
contrattuali.
Le
proposte progressiste
Nuovi ammortizzatori sociali,
dunque, e nuove regole (omogenee) nel mercato del lavoro, due facce della
stessa medaglia.
Le
soluzioni in campo infatti, quelle con cui il governo non
potrà non fare i conti, sono nate a sinistra e presentate in Parlamento dalla
sinistra. C'è la proposta del senatore giuslavorista Pietro Ichino che ha
l'ambizione di riscrivere il diritto del lavoro; c'è il "contratto
unico" a protezione crescente, nato nelle aule universitarie (i veri ispiratori
sono gli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi) e "adottato" dal
senatore Paolo Nerozzi (ex dirigente della Cgil); e c'è anche il
"contratto unico di inserimento formativo" firmato da un'ottantina di
parlamentari democratici (tra i quali l'ex ministro del Lavoro, Cesare
Damiano), una "terza via" partita in sordina rispetto alle altre due
ma, alla vigilia del confronto tra governo e parti sociali, con qualche chance
in più di arrivare al traguardo.
Le
differenze, il nodo dell'art.18
Ci sono differenze non di poco
conto tra i tre modelli a confronto, culture diverse e anche costi diversi a
carico delle imprese. Ichino propone che le nuove assunzioni siano tutte a
tempo indeterminato. Ma che sia anche possibile il licenziamento individuale
per motivi economici, tecnici o organizzativi. Senza più il reintegro nel posto
del lavoro, nel caso di licenziamento senza giusta causa (come prevede
l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), bensì con un'indennità economica
di tre anni a carico in buona parte dell'impresa (da qui la sostanziale
malcelata ostilità della Confindustria) pari al 90 per cento dell'ultima
retribuzione per il primo anno, e poi all'80 e al 70 per cento.
L'idea è quella di rendere il
datore di lavoro direttamente responsabile nel progetto di ricollocazione del
lavoratore licenziato. Nulla di simile c'è nella proposta Boeri e nel disegno
di legge di gran parte del Pd. Entrambi puntano a una graduale stabilizzazione
del rapporto di lavoro. Fino a tre anni di prova (l'ingresso nel lavoro), poi
il contratto a tempo indeterminato.
Nessun intento di modificare o
attenuare lo spettro d'azione dell'articolo 18, mentre c'è l'idea (ne aveva
accennato, seppur a titolo personale, la Fornero) di un salario minimo. Un
tragitto che sembra aver ispirato le parole di Monti nella conferenza stampa di
fine anno sul contrasto alla precarietà, ma anche la formula del
"contratto prevalente" che si sta studiando al ministro del Lavoro.
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