LE LIBERALIZZAZIONI DI BERSANI e QUELLE DI MONTI
Nella foga di voler dimostrare che la politica va buttata al macero per far posto a qualche nuovo demiurgo proveniente dall’industria, dalla finanza, comunque dai salotti del potere, alcuni quotidiani hanno cancellato la storia d’Italia in questi ultimi giorni, inneggiando alle liberalizzazioni del governo come alla prima iniziativa di questo genere nel paese, e hanno chiuso gli occhi sulla riflessione che in queste stesse settimane si sta aprendo a livello internazionale sulla necessità di mettere su un nuovo piano il rapporto tra politica ed economia.
Da L’Unità. Articolo di Bianca Di Giovanni. “Non sappiamo se si tratti di innocenti amnesie, o di una studiata «damnatio memoriae». Sta di fatto che da quando il decreto liberalizzazioni è stato varato venerdì scorso, sui mass media si ripete lo stesso ritornello: finalmente l`Italia ha fatto cose mai viste prima. Qualche ministro (sottaciamo il nome) si attribuisce anche altisonanti primati: queste misure aspettavano da 20 anni. Tutto bene, per carità. Meglio agire che restare fermi come Berlusconi. Male però che si racconti una storia «addomesticata». Dalle cosiddette lenzuolate del governo Prodi non è passato molto tempo: difficile che tutti le abbiano dimenticate. E altrettanto poco credibili appaiono questi inni, dopo un triennio di silenzio assordante su tutti i tentativi, spesso riusciti, di ammorbidire quelle norme. Vale la pena abbozzare un confronto sull`impatto delle misure di allora, rispetto a quelle che ora affronteranno l`esame parlamentare. Tutti ricorderanno i costi di ricarica che i grandi gruppi telefonici imponevano ai clienti. Sono scomparsi con un tratto di penna, consentendo immediatamente un risparmio complessivo valutato in due miliardi di curo. Nessun rinvio a prossimi decreti. Tra le nuove norme si fa fatica a rintracciare una misura tanto vantaggiosa per i bilanci familiari. Da notare che durante la discussione sempre gli stessi giornali erano pieni di fosche previsioni (che non si sono avverate) sul conseguente taglio di posti di lavoro da parte delle compagnie telefoniche....
....
Sui farmaci non c`è partita: l`apertura di nuovi punti vendita per quelli da banco ha ottenuto il calo dei prezzi di circa il 18%. Prima di allora nel Lazio avevano invitato le farmacie a fare sconti, con risultati molto deludenti. E oggi sui farmaci di fascia C si fa retromarcia, e si rafforza il potere dei farmacisti. Mentre il centrodestra accusava Bersani di prendersela con i poveri parrucchieri, le banche subivano un colpo durissimo: niente spese di chiusura conto, niente penali per la rinegoziazione dei mutui, niente ricorso al notaio per estinguere l`ipoteca. Nel solo 2008, con la crisi che fece schizzare le rate a livelli mai visti prima, sono stati 408mila i cittadini che hanno rimborsato il prestito evitando spese per la cancellazione dell`ipoteca. Sulla mobilità dei correntisti si è fatto un balzo in avanti che ha portato l`Italia ai primi posti in Europa, con il 13,1% che nel 2009 ha cambiato banca (dati Ue). In media sono 2 milioni i clienti che decidono di cambiare istituto, senza versare l`obolo di chiusura conto. Tutto questo è entrato in vigore immediatamente, portando vantaggi economici sostanziosi per le famiglie. Oggi le banche sono assenti dagli
interventi. Che dire? Non si affronta neanche il tema delle commissioni per il pagamento via bancomat. Interessante il confronto sulle assicurazioni. Quella è stata forse la partita più complicata (dopo quella - persa - sui taxi che sembrano vincere anche stavolta), ma ricca di proposte innovative.
Come quella dell`agente plurimandatario. L`Ania ha lavorato di fino per lasciare la norma inattuata, tanto che oggi ci si presenta un`ipotesi più debole: cioè che sull`Rc autos i presentino almeno tre ipotesi di diverse compagnie. Peccato che la legge, per l`appunto, già c`era. Come già esiste la possibilità si sconti in caso di istallazione della scatola nera. Dei risarcimenti diretti, arrivati a circa 5 milioni, non si è saputo più nulla, a parte il fatto che Berlusconi ha accontentato le compagnie nel ridimensionarli. Sempre durante il governo Prodi entrò in vigore anche la possibilità per i titolari di vecchie e onerose polizze di cambiare compagnia. E infine, quella di comparare le offerte on-line. Tutto questo è stato sostanzialmente «oscurato». Oggi invece si spaccia come risultato rivoluzionario quello sulle polizze legate ai mutui: la banca dovrà presentare almeno due ipotesi. Ebbene, finora la sottoscrizione della polizza non era obbligatoria: con quella disposizione la si legalizza. Tanto per far spendere di più i cittadini”.
Da L’Unità. Anticolo di Massimo D’Antoni. “Se potessimo astrarre dalle conseguenze così drammatiche per le persone, il momento attuale avrebbe tratti affascinanti per la rapidità e la profondità dei cambiamenti, specie sul versante della riflessione e del dibattito culturale. Non passa giorno senza una presa d`atto della necessità di rivedere le interpretazioni dei fenomeni economici. E, di riflesso, sociali e politici. A volte rimaniamo persino un po` sorpresi, come quando leggiamo in un articolo firmato da Martin Wolf, capo-economista del Financial Times, che per superare la crisi del capitalismo è «inevitabile» garantire almeno un parziale «finanziamento pubblico dei partiti e delle elezioni». Questa capacità di rimettere in discussione dogmi acquisiti e pregiudizi consolidati vale purtroppo più per altri Paesi che per il nostro, dove il dibattito pubblico, filtrato da un sistema editoriale e mediatico ingessato e asfittico, si caratterizza per la ripetitività. E per una lettura semplicistica dei processi in atto. Nel momento in cui la stampa economica e finanziaria internazionale si interroga sulla necessità di riformare il capitalismo, da noi a tenere banco sono i privilegi di questa o quella categoria di volta in volta individuata come «casta», o ripetitive analisi sull`articolo 18 quale freno allo sviluppo del paese. Emblematico è il tema dei rapporti tra politica ed economia. Il mondo sembra finalmente emergere da una lunga fase in cui ha dominato l`idea che crescita e benessere potessero essere garantiti solo contenendo e limitando il ruolo della regolazione pubblica rispetto al mercato. Insistendo sui costi veri o presunti dell`azione redistributrice dello Stato, proclamando che non vi fosse alcuna funzione positiva per le politiche di stabilizzazione o le politiche industriali, vedendo l`azione politica come puramente orientata alla creazione di rendite, è stata sopravvalutata la capacità di autoregolazione del mercato e ci si è trovati in difetto di strumenti per affrontare la crisi. Ciò che è in atto non è un ritorno semplicistico all`idea di una politica buona e portatrice di interessi pubblici da contrapporre a un mercato cattivo. Si rimette semmai a tema la questione della democrazia e si denunciano i meccanismi che hanno limitato la capacità della politica di rappresentare interessi diffusi. Negli Stati Uniti, dove certi processi sono stati più marcati, diversi studi
documentano come, a partire dagli anni Ottanta, la politica abbia di fatto abdicato al proprio ruolo, diventando ostaggio di gruppi ristretti e accettando o addirittura favorendo l`aumento della diseguaglianza e lo sviluppo sregolato della finanza. Nel dibattito nostrano, c`è chi continua invece a invocare improbabili separazioni della politica dall`economia, come se le decisioni politiche, anche quelle di astenersi dal fare, non avessero profonde implicazioni economiche. Quanto al tema della funzionalità della politica, non si può dire che esso sia stato assente dal dibattito. Ci si è tuttavia concentratiprevalentemente sull`aspetto della capacità «decidente», si è enfatizzato il momento concorrenziale del voto e delle sue regole, con il cittadino-elettore nel ruolo di un consumatore che sceglie tra i diversi "prodotti" offerti dal mercato politico. Si è così trascurata la funzione insostituibile dei partiti nel loro ruolo di organizzazione della rappresentanza, di mobilitazione del consenso e di creazione di una soggettività e capacità progettuale autonoma. Nella reazione alla «repubblica dei partiti» si è finito per dimenticare l`altra direzione del nesso tra economia e politica: l`autonomia della seconda dalla prima, o più precisamente il pericolo rappresentato dalle concentrazioni di potere economico per la democrazia indebolita dalla crisi dei partiti. Eppure, proprio l`esperienza italiana dovrebbe togliere ogni dubbio su tale capacità di condizionamento (e non ci riferiamo solo a Berlusconi). In quest`ottica, non si può che condividere la preoccupazione di Martin Wolf. Parlando di come il capitalismo può uscire dalla sua crisi, l`editorialista del Financial Times punta il dito contro il rischio che la politica sia asservita agli interessi dei poteri economici, e diventi così «plutocrazia».
Gli strumenti suggeriti sono da una parte la limitazione delle risorse private nelle contese elettorali, dall`altro l`erogazione di risorse finanziarie pubbliche a favore di chi si impegna in politica: «La protezione della politica dal mercato si ottiene regolando l`uso del denaro nelle elezioni e fornendo risorse pubbliche a chi vi partecipa. Un finanziamento pubblico almeno parziale di partiti ed elezioni è inevitabile». A pensarci, un`affermazione ovvia.
Eppure, leggerla sull`organo della comunità finanziaria britannica fa un certo effetto. Sarà anche per il contrasto con la stampa liberale e progressista di casa nostra, che alterna il vagheggiamento di improbabili formule di democrazia senza partiti a lunghi editoriali in cui ci spiega come sia necessario fare piazza pulita di ogni corpo intermedio (in quanto portatore di interessi necessariamente corporativi)“.
Nessun commento:
Posta un commento