mercoledì 10 ottobre 2012

Operazione Cieli Bui

(m.giannini@repubblica.it) - un estratto dell'articolo di oggi


Il Governo ha varato la Legge di Stabilità. In sostanza, una ulteriore manovra lacrime e sangue da dieci miliardi.  Con questi interventi, selettivi al contrario, la spending review assume i contorni dell'accanimento terapeutico. E ancora una volta, i tecnici dimostrano di avere molta attitudine per la contabilità nazionale, ma poca propensione all'equità sociale. Detto questo, la Legge di Stabilità si porta dietro due implicazioni, sulle quali si impone una riflessione.
La prima implicazione è economica. Proprio nel giorno in cui l'Istat fotografa una caduta del 4,1% del potere d'acquisto dei salari 2 e il Fondo monetario certifica il crollo del 2,3% del Pil di quest'anno, la manovra aggiuntiva del governo conferma che l'Italia, come del resto la Spagna e in prospettiva la stessa Francia, ha ormai imboccato un sentiero che conduce ad Atene, e non a Berlino. La spirale più recessione-più rigore sta dispiegando i suoi effetti micidiali. I tagli di spesa e i recuperi di evasione possono finanziare ben poco, oltre al maggior fabbisogno determinato dalla caduta del denominatore nel rapporto deficit/Pil e debito/Pil. E l'aggiustamento, per un Paese che non può più neanche immaginare ulteriori inasprimenti d'imposta in stile Hollande ma dovrebbe semmai cominciare a ridurre la pressione fiscale, non può non avvenire ormai a carico del Welfare. Cioè attraverso la riduzione ancora più spinta del perimetro di una spesa sociale già di per sé iniqua e squilibrata. 


È la via "mercantilistica" alle correzioni di bilancio, che genera bilanci pubblici a impatto sempre più regressivo e recessivo. Vale per oggi, ma vale anche per domani. Stretta in questa morsa, e a dispetto di qualche revisione fin troppo generosa del remore, l'Italia non vedrà alcuna ripresa nel 2013. Se ne riparla nel 2014, se va bene. E se non ci fosse da piangere, farebbe sorridere la comicità involontaria di chi, nella Legge di Stabilità appena varata, ha inserito anche una norma per il risparmio energetico denominata "Operazione cieli bui". Mai formula fu più azzeccata, non solo per declinare qui ed ora un tocco di "austerity" da Anni Settanta, ma anche per tracciare l'orizzonte generale del Paese nei prossimi due anni. 

La seconda implicazione è politica. Al di là delle apparenze e delle esigenze imposte dalla fase, tra il governo Monti e i partiti che lo sostengono c'è un corto circuito sempre più evidente. A Pd, Pdl e Udc che vagheggiano suggestive riscritture bipartisan della riforma previdenziale della Fornero, il premier contrappone l'irriducibile coerenza dei saldi contabili e l'inevitabile cogenza degli impegni europei. È in atto uno strano paradosso: mentre i leader di una politica in affanno nel centrosinistra e in disarmo nel centrodestra lanciano Monti per la legislatura che sta per cominciare, lo contestano nella legislatura che deve ancora finire. Ma forse c'è una via d'uscita anche a questo paradosso. Il Professore, grazie al suo prestigio e alla sua autorevolezza, ha evitato al Paese la bancarotta, e lo ha riportato agli onori del mondo. Ma nella sua azione di governo ci sono luci ed ombre, cose ben fatte e occasioni mancate. Come dimostra l'ultima stangata decisa in perfetta autonomia dall'Eliseo, per gli Stati di Eurolandia le "condizionalità" del risanamento concordato con la Ue, presenti e future, riguardano la fedeltà complessiva al patto comunitario, non l'adesione acritica a un unico modello di sviluppo. Investono l'equilibrio complessivo di bilancio, non le azioni specifiche necessarie per raggiungerlo. in questa chiave, quella che si sta innescando intorno alla cosiddetta "Agenda Monti" rischia di essere una polemica inutile e dannosa.

Le politiche economiche sono frutto di una scelta, non di un destino. L'Italia ha un solo vincolo invalicabile (ormai anche di rango costituzionale) che chiunque vinca le elezioni dovrà ricordare e rispettare: non si può finanziare più una sola spesa in deficit. Tutto il resto è politica, dunque arte del possibile. Anche dopo il 2013, vero valore aggiunto è Monti, non la sua Agenda. 


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