lunedì 8 ottobre 2012

Relazione del segretario Pier Luigi Bersani alla Assemblea Nazionale


Prima di tutto, vorrei cominciare con una bella notizia: il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, ha scritto poche ore fa al Consiglio di sicurezza così: sono lieto di informarvi della mia intenzione di nominare Romano Prodi come mio inviato speciale per il Sahel. E’ una grande soddisfazione per noi. Tanti auguri di buon lavoro in una situazione certamente difficilissima. Care democratici e cari democratici, cari membri dell’Assemblea nazionale, questa volta non avrete da me una relazione organica e omnicomprensiva. Sarò breve. Pronuncerò solo qualche considerazione introduttiva alla discussione e alle nostre decisioni, senza riprendere temi politici e programmatici che ho già esposto di fronte a voi recentemente. In particolare, vorrei rimandare all’occasione della festa nazionale di Reggio Emilia, che tra l’altro, lo ricordo, si è svolta a conclusione di una stagione di oltre duemila feste, che hanno confermato sia il volto popolare del nostro partito, sia la passione civile e politica di migliaia di volontari e di militanti ai quali dobbiamo corrispondere come gruppo dirigente. Non dobbiamo scandalizzare: dobbiamo corrispondere. Starò ai punti essenziali...  segue
Primo punto e qui mi metto nello spirito delle cose che diceva anche la presidente Rosy Bindi: sono certo che da questa assemblea e da ciascuno dei suoi partecipanti sarà colta la crucialità e direi anche la solennità di questo momento. Io non amo l’enfasi, come si è capito in questi anni. Quindi, quel che dico adesso lo dico sul serio: noi siamo oggi, più di quello che possiamo pensare, non solo sotto gli occhi dell’Italia, ma sotto gli occhi di una larga schiera di osservatori politici, economici, diplomatici dell’Europa e del mondo. Affido a ciascuno di noi la piena consapevolezza di questo dato. La compostezza, la serietà e il rigore delle nostre decisioni daranno un segno non irrilevante delle possibili prospettive dell’Italia, non del Pd, dell’Italia, perché ci stanno guardando per l’Italia. Consideriamo infatti la situazione essenziale e con un linguaggio di verità. Primo: consideriamo il drammatico distacco tra cittadini e politica, secondo me peggiore rispetto al 1992. Secondo: consideriamo la situazione economica e sociale. Siamo in mezzo alla crisi più grave, più lunga e più incerta che si sia vista in Italia e in Europa dal dopoguerra. Terzo: consideriamo le tendenze già operanti e i rischi di frantumazione e di balcanizzazione del sistema politico, la crisi scomposta della destra, l’insorgere di nuovi e antichi populismi, ma anche di più e oltre: una voglia e generica e potente di rifiuto, di semplice e radicale rifiuto che corre nel Paese. Chiunque abbia a mente tutto questo non può non concludere che senza il Pd non c’è alcuna possibilità di mettere ordine nelle prospettive del Paese. Nessuna possibilità. Non c’è possibilità di suscitare le forze vitali, che pure ci sono in Italia, chiamandole ad una riscossa. Al contrario, c’è il rischio evidente che il Paese si metta davanti ad una palude o forse anche ad una avventura. Noi sappiamo bene, non siamo ingenui, che in Italia, in Europa e anche oltre, c’è chi può pensare che un Paese stremato, indebolito e portato all’impasse possa essere comandato o comprato per poco. Lo sappiamo bene. Ripeto: non siamo ingenui. Ma c’è anche chi, pur non avendo certamente in testa queste intenzioni, non comprende la fase attuale. Qualche volta l’incomprensione riguarda anche il nostro stesso grande campo dei democratici, dei progressisti. La nostra discussione non deve peccare di leggerezza, non deve ignorare che in questi mesi possiamo essere a un tornante storico per la vita del Paese. E quindi di qualsiasi cosa noi si discuta, deve percepirsi l’ancoraggio ai problemi, alle ansie del Paese e la preoccupazione di lavorare per una prospettiva positiva per l’Italia. L’ho detto altre volte: guai se ci facessimo sorprendere lontani dal punto principale della questione, che è l’Italia, gli italiani, il cammino che abbiamo davanti, direi che è la bussola per il futuro degli italiani. Il punto è proprio questo: la bussola per il futuro degli italiani. E’ di questo che si deve parlare, è di questo che dovranno sentirci parlare. Ribadiamo dunque in questa occasione, davanti all’Italia e al mondo, e avendo di fronte mesi cruciali e decisivi, chi siamo e che cosa vogliamo. Noi siamo un partito riformista, capace di garantire la decisione politica e di governo a partire da culture plurali. Noi siamo l’unica forza politica che ha radici incontestabili e di assoluta coerenza nella fedeltà all’ideale europeo, con la forza dei fatti e non solo con le parole. Noi garantiamo la piena affidabilità sull’asse fondamentale della nostra politica europeistica e porremo questa affidabilità come condizione ineludibile ed esigibile per qualsiasi alleanza di governo. Ho detto e ripeto che noi consideriamo la credibilità e il rigore che Monti ha mostrato al mondo come un punto di non ritorno. Ai dubbiosi, sinceri o strumentali che siano, rispondiamo che non c’è bisogno di spiegare a noi il valore davanti al mondo di questa esperienza di governo e di questa personalità: noi abbiamo voluto Monti e lo abbiamo voluto al prezzo di una nostra rinuncia. Noi lo stiamo sostenendo in condizioni difficili, spesso fronteggiando noi i problemi acuti della società e caricandoci di responsabilità non nostre. Certo non da soli. Ma noi prima di ogni altro abbiamo mandato a casa Berlusconi e aperto la strada al governo Monti. Quindi noi non abbiamo bisogno di ricevere istruzioni su questo punto, né per l’oggi, né per il domani. Noi prenderemo il meglio di questa esperienza e ne garantiremo lo sviluppo, ma nel pieno recupero di una fisiologia democratica e politica. Una fisiologia democratica e politica è un diritto per l’Italia come per ogni altro Paese, ma per l’Italia è anche un dovere, se vogliamo presentare al mondo un Paese che esce da un eccezionalismo perennemente instabile. E noi vogliamo che questo diritto e questo dovere non vengano contraddetti da una legge elettorale che, pur nel giusto superamento della Calderoli, tuttavia oscuri i temi della governabilità e della trasparenza del rapporto con gli elettori. Su questo stiamo lavorando. Secondo punto che vogliamo chiarire. Noi sappiamo da dove si deve partire per rimettere in moto il Paese. Noi partiremo dalla riforma delle istituzioni e della politica, dal rinnovamento morale, dalla riscossa civica, dai diritti illuminati dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Noi partiremo da lì per il cambiamento. La nostra parola sarà il cambiamento. E sappiamo anche come fare: moralità, sobrietà, legalità, regole, uno strumento operante davvero per rivedere in modo organico la seconda parte della Costituzione, legge sui partiti, costi della politica, norme anticorruzione (quelle che resteranno da fare, dal falso in bilancio all’antiriciclaggio, e così via), diritti fondamentali, parità di genere, giustizia per i cittadini, trasparenza e regole di mercato, liberalizzazioni. Insomma, noi non vogliamo meno riforme di quelle viste fin qui: noi ne vogliamo di più e di più pertinenti, e fuori dai condizionamenti di una destra che ha corroso negli anni legalità e civismo e che ancora oggi tiene il piede sul freno. Quindi sia chiaro che, disturbando anche noi stessi se sarà necessario, noi alzeremo la bandiera di un rinnovamento morale del Paese. Terzo punto, la questione economica e sociale. Una parola in più sono costretto a dirla per un motivo molto semplice. Io ritengo, e spero naturalmente di sbagliarmi, che noi non arriveremo alle elezioni senza sviluppi ulteriori nella dinamica della crisi. Leggo in quello che sta avvenendo sul piano economico e sociale un’urgenza di cui francamente mi sembra che non ci sia consapevolezza nella discussione pubblica. Le cose così non vanno, e non possiamo chiudere gli occhi. E’ tempo di aprire gli occhi in Europa e in Italia. Non rifarò qui la storia di questi anni di crisi, non prenderò di nuovo spunto dalle analisi che più volte abbiamo fatto. Sto all’oggi, all’urgenza. Se guardiamo i Paesi sotto condizionalità formali da alcuni anni, e cioè Irlanda, Grecia e Portogallo, più la Spagna, che le condizionalità se le è dovute dare da sé, il risultato in sintesi è il seguente: tutti questi paesi hanno avuto una drammatica riduzione della ricchezza prodotta, per alcuni paragonabile a un periodo bellico; tutti hanno visto aumentare il debito pubblico anziché ottenerne una riduzione; tutti hanno visto la disoccupazione galoppare; nel frattempo la dinamica dell’intera area euro si può sintetizzare così: c’è chi va in recessione, c’è chi va in stagnazione, c’è chi va in rallentamento. La freccia indica per tutti una direzione sola. Chi è più sul fronte viaggia al ritmo di due manovre all’anno. E il distacco tra i cittadini e la democrazia si fa sempre più drammatico. L’Italia è pienamente e drammaticamente dentro questa tendenza, perché la recessione è più forte delle previsioni. Finiremo purtroppo oltre il 2,4 stimato. Le previsioni di finanza pubblica peggiorano. Il Sud si allontana ancora di più, basta leggere il rapporto Svimez per rendersene conto, mentre l’Italia si allontana ancora di più dall’Eurozona. Noi dal 2007 abbiamo perso 7 punti percentuali di Prodotto interno lordo e 20 punti percentuali di produzione industriale. Prendere questa enorme questione solo dal lato degli spread è insufficiente e perfino illusorio. C’è poco da fare. La speranza fatalistica in una ripresa nel 2013, purtroppo – dobbiamo essere sinceri – non ha pezze d’appoggio. Quindi bisogna agire. La situazione non consentirà di attendere con le mani in mano le elezioni tedesche. Non so in quali condizioni ci arriverà mezza Europa all’appuntamento elettorale tedesco. Allora diciamo almeno con forza quale deve essere per noi l’agenda europea e di conseguenza l’agenda italiana. Di questo si deve parlare, non dell’agenda Monti o dell’agenda Bersani: ci vuole una correzione dell’agenda europea e quindi di quella italiana. Bisogna dire con chiarezza qual è la piattaforma, che può solo essere questa. Primo: subito, rapidamente, l’unione fiscale, con l’autorizzazione europea sulla presentazione delle leggi di bilancio e sanzioni automatiche per chi viola gli impegni. Lo so che è una cosa durissima, ma va fatta se è la condizione per poi fare le altre cose, che sono: un po’ di respiro per le politiche di bilancio, la golden rule per dare un po’ di investimenti e di lavoro; la tassa sulle transazioni finanziarie, che non è uno sfizio de L’Unità, come sostengono alcuni commentatori: ci sono Paesi che la vogliono, a cominciare dalla Francia e dalla Germania; eurobond e project bond per le infrastrutture e le innovazioni; l’unione bancaria e una regolazione finanziaria ampia ed effettiva; il coordinamento delle politiche di tassazione e un’offensiva contro i paradisi fiscali, perché la ricchezza scappa e la povertà resta; infine standard retributivi, oltretutto già previsti, e cioè muovere i salari per chi recupera produttività, per attivare la domanda. Sotto tutto questo vi deve essere ovviamente la predisposizione di un percorso per una nuova democrazia europea che lanci dal 2014 una fase costituente, nuovi trattati su iniziativa dei Paesi dell’eurozona. E’ in questa logica che possono essere attivati in modo efficace e coerente anche strumenti per la mutualizzazione e la gestione del debito. Il Pd chiede che questa sia l’agenda europea dei democratici e dei progressisti, chiede che questa sia l’agenda europea dell’Italia e che nessuno si rassegni all’inerzia di un avvitamento che è in corso tra recessione, squilibri della finanza pubblica e crisi democratica. Detto questo, vi segnalo che nelle settimane e nei mesi che ci aspettano avremo altri esiti sociali della recessione che è in corso e saremo anche di fronte a nuove misure che arriveranno. Raccomando dunque a me stesso e a tutti voi di non perdere il contatto con il disagio, non lasciarlo nella solitudine, anche quando le risposte non le abbiamo. E, in questo contesto, fatemi mandare da qui un saluto a Claudio De Vicenti, il sottosegretario che l’altro giorno, a mezzanotte, in una riunione con la Thyssen, in mezzo alle trecento crisi aziendali, è stato preso da un pre-infarto: non è diventato infarto perché trattandosi di Thyssen c’era il nostro sindaco di Terni che è un medico, un cardiologo, e se ne è accorto. Non voglio essere macabro, ma se quella sera si discuteva il caso di Piombino, forse non sarebbe andata allo stesso modo, dato che lì abbiamo un ottimo sindaco, che però non è un cardiologo. Noi mandiamo dunque a De Vincenti un saluto affettuoso e cogliamo di nuovo l’occasione per chiedere al governo - l’ho già detto una decina di volte, perché solo chi non ha fatto questo mestiere può non sapere quale sia il peso da sopportare - di organizzare per favore una task force per affrontare con i sindacati, con gli imprenditori, l’enormità del numero delle crisi aziendali che stanno arrivando e che non possono essere caricate solo su due o tre persone. Non so più come bisogna dirla questa cosa. Naturalmente raccomando a tutti noi, oltre che di stare vicino alle sofferenze, di dare una mano a alle vitalità che ci sono, a coloro che stanno inventando qualcosa, a chi vuole investire, a chi vuole dare lavoro: tra amministratori e politica, bisogna incoraggiarli e semplificargli la vita. Infine non posso dimenticare che il Parlamento e il governo hanno ancora qualche mese di lavoro. Quindi lasciatemi sottolineare alcuni punti. Primo, la legge anticorruzione. Dopo le misure che il governo ha preso nei giorni scorsi e che vanno nella direzione giusta di evitare il degrado della vita politica e amministrativa, non si possono lasciare in sospeso norme così rilevanti e che meriteranno in futuro anche delle estensioni, perché ce ne sono sicuramente da aggiungere. Questa legge va approvata. Ricordo che il governo ha messo fin qui oltre 40 fiducie, per cose anche minori. Secondo, la legge elettorale. Adesso si sta discutendo di nuovo, come al solito nell’incertezza della posizione del Pdl. Ribadisco qui che noi siamo flessibili, che siamo pronti a trovare un’intesa e a rispondere al messaggio giusto del presidente della Repubblica. I paletti che mettiamo non sono per noi. Non vogliamo che sia impedita la governabilità, perché di questo si tratta; vogliamo i collegi non le preferenze, questa è la nostra opzione; vogliamo la parità di genere, di cui nessuno parla; e vogliamo che non si possano fare dei gruppi tipo Scilipoti dalla sera alla mattina. Sono quattro cose di civilizzazione, non sono per il Pd. Ultima puntualizzazione, la legge di stabilità in arrivo. So benissimo - l’ho detto prima - quale sia la situazione. E so benissimo che in nome di questa situazione e in nome delle bombe a orologeria che Berlusconi e Tremonti hanno lasciato lì da disinnescare, saremo di nuovo di fronte a scelte complicate. Dico dunque due cose. Se a causa della recessione o anche a seguito di qualche buco rilevante nelle riforme che sono state fatte la risposta sociale andasse troppo sotto soglia, invito il governo a mettere il riflettore su alcune situazioni che rischiano di superare il limite della sostenibilità. Questo è un paese civile. Secondo, i servizi universalistici, pur nelle ristrettezze, devono essere trattati con grande cura, grande precisione, grande attenzione, non in modo generico. E fatemelo dire: non si può ogni sei mesi dare una botta alla scuola. Basta. Gli ultimi anni sono stati fatti interventi in modo scomposto. Cerchiamo di avere il tempo di riflettere, di avere una ripartenza ragionata. Cerchiamo di non accendere altre micce in una situazione già molto complicata. Arrivo al punto finale. Cari amici e compagni, abbiamo dichiarato davanti all’Italia che vogliamo prenderci la responsabilità di governare, che vogliamo farlo mettendo in campo largamente nuove energie che ci sono e che abbiamo, che vogliamo farlo organizzando un centrosinistra di governo e rivolgendo un appello largo a forze moderate, europeiste, saldamente costituzionali, disposte a contrastare in Europa e in Italia una destra regressiva e possibili derive populiste. Abbiamo detto questo e lo ribadiamo. Ma governare non sarà facile. Chi vende ricette facili, o suggestioni da uomini soli al comando, vende fumo. Non si potrà governare senza popolo, non sarà possibile: è inutile mettersi in marcia, se non si comprende questo. E quindi se non ci sarà un minimo di recupero di vicinanza e di fiducia tra la politica e i cittadini, se la politica celebrerà semplicemente i suoi riti dentro un fortino, non ci sarà speranza alcuna di poter guidare il Paese fuori dalla crisi. Insomma, se la politica non si prende qualche rischio, la fiducia non tornerà. Questa è la sostanza. Credo che chi non comprende questo dato di fondo sottovaluta gravemente la situazione. La fiducia invece può riprendere. Le forze ci sono. Uscire dalla crisi si può. Cambiare si può, ma assieme, mettendoci partecipazione, trasparenza, sincerità, un po’ di coraggio: il coraggio di arrivare alla governabilità attraverso la partecipazione consapevole. Questa è la strada. E questo è il senso delle nostre primarie di coalizione; un senso che viene compreso già adesso. Lasciate stare quel che spesso si legge. Questa mattina ho letto che stiamo in una crisi di nervi, in una crisi isterica. Lasciate stare queste cose. Guardate al fondo dell’opinione pubblica. Nel marasma della politica, nel fango che investe tutto, noi comunque leghiamo il nome e l’iniziativa del Pd ad una occasione di partecipazione, di mobilitazione, di scelta, di apertura. Abbiamo segni evidenti che tutto ciò viene compreso, lo vediamo nelle rilevazioni che facciamo e nelle relazioni con forze economiche, sociali e del civismo che abbiamo avuto anche in queste settimane. Questa nostra scelta non ci farà male, come qualcuno teme: ci farà bene, sempre che noi si sia capaci di guidare noi stessi, di dimostrare che siamo un grande collettivo che discute, ma che decide e che funziona. Ci farà bene, a fronte di una destra che cerca strategie di sopravvivenza chiusa in un palazzo. Ci farà bene a fronte di tentativi di costruire soggetti politici in laboratorio, soggetti d’occasione ora che arrivano le elezioni e dove si fa vedere chi non s’era mai visto. Ci farà bene a fronte di populismi che parlano a nome dei cittadini senza incontrali mai. Mettiamoci dunque forza, convinzione, fiducia in questo percorso. E’ in questa stessa logica di apertura, e perché la logica di apertura non appaia contraddetta, che ho chiesto prima alla Direzione e oggi nell’Assemblea di sospendere la norma statutaria che prevede il segretario del Pd come unico candidato alle primarie di coalizione, superando anche le oneste preoccupazioni di tanti, che sono pure qui. Non è che non ho ascoltato le loro argomentazioni. Ma è una buona cosa per l’Italia e per noi. Io ne sono convinto. L’unica preoccupazione che ho è che questo gesto importante che vi chiedo oggi, che questo rischio che segnala appunto una politica che vuole anche rischiare con sincerità, non venga svilito da noi stessi. Lasciatemi dire una cosa personale. In tre anni non l’ho mai fatto. Dico una cosa a titolo personale e non desidero che entri nel dibattito. Sono stato veramente ferito dal leggere che qui si cambierebbero le regole in corso d’opera per chiudere e per bloccare. Questo no. C’è un limite a tutto. Sia chiaro che l’unica regola esistente che si cambia in corso d’opera è la regola statutaria che prevede come unico candidato il segretario, ed è un cambiamento di apertura. Detto questo, chiedo a tutti voi e a ciascuno di voi di accogliere questa proposta. L’assemblea deciderà oggi anche il mandato a discutere con Sel e Psi l’organizzazione delle primarie, la loro convocazione. Anche qui, nelle cose che decideremo e nella nostra discussione, ricordiamoci che l’organizzazione delle primarie non è solo affar nostro. Chiedo quindi che sia riconosciuto quel tanto di rispetto che dobbiamo alla discussione con le altre forze politiche. Per quel che ci riguarda come Pd, come segretario segnalo l’impegno che dobbiamo mettere nel realizzare ciò che abbiamo già deciso parecchio tempo fa. Magari chi non frequenta la Direzione può non saperlo, ma noi nel giugno del 2011, dopo drammatiche evenienze a proposito di primarie locali delle quali portiamo ancora un segno profondo, facemmo una Direzione con cui voti che poi furono confermati in diversi momenti successivi. Si decise cioè di rendere effettivi strumenti che in teoria c’erano da sempre, dagli albori delle primarie, come il famoso albo, ma mai veramente attivati sul piano organizzativo, perché impossibili da attuare nel quadro organizzativo che abbiamo visto fin qui. Molto semplicemente, questo è il punto. Allora o facciamo chiacchiere o facciamo fatti. E se facciamo fatti e decidiamo che un albo ci vuole, allora occorre trovare soluzioni organizzative che lo rendano pensabile, possibile. Dobbiamo dunque fare un passo in avanti ma non per chiudere la partecipazione, per mettere trasparenza, serietà nello strumento, per metterlo in sicurezza per il futuro, perché è prezioso. Dobbiamo guardare quali sono le migliori esperienze mondiali e produrre finalmente la possibilità di una relazione non occasionale con un numero enorme di elettori del Centrosinistra. Elettori vecchi e anche nuovi, perché certamente un elettore del Centrodestra può cambiare idea, ma se partecipa alle primarie ce lo viene a dire. Tutto qua. E se gli diamo 21 giorni di tempo invece che un giorno solo, gli diamo più agio. Io insomma sto al principio. Poi l’Assemblea sceglie. E il principio è questo: chi partecipa riceve sovranità e può decidere. In cambio si prende una responsabilità, si dichiara, si registra in modo ordinato. E noi non dobbiamo avere paura della parola regole. La parola regole è una bella parola. Io ho proposto qualche riflessione, ho offerto qualche indicazione. L’assemblea deciderà secondo le regole della nostra comunità, che meritano il rispetto di tutti. Poi la coalizione deciderà con la nostra presenza attiva, con il contributo che qui sarà indicato. Auguro buon lavoro all’Assemblea e cerchiamo tutti, prima ancora delle nostre vicende personali, di avere a cuore il Partito democratico che - credetemi- è l’unica speranza per il nostro Paese.

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