sabato 27 novembre 2010

IL MINISTRO DELLA PAURA

COME NEL FAMOSO PERSONAGGIO DI ANTONIO ALBANESE, "IL MINISTRO DELLA PAURA", ABBIAMO LE DICHIARAZIONI IRRESPONSABILI DI FRATINI E DI SUA MAESTA' SILVIO I° 

(da La Repubblica.it del 27.11.10 a firma G. D'Avanzo)

Un complotto contro l'Italia, dunque. Il governo condivide la preoccupazione di Franco Frattini che esista una cospirazione, "una strategia diretta a colpire l'immagine dell'Italia sulla scena internazionale". L'aggressione al nostro Paese, sostiene il ministro degli Esteri, si alimenta enfatizzando quattro crisi.

La tragedia delle tremila tonnellate di rifiuti che soffocano Napoli; il crollo della Domus dei Gladiatorii a Pompei; le investigazioni (fondi neri?) negli affari di Finmeccanica, il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia, tra i primi dieci player nel mondo per Aerospazio, Difesa e Sicurezza; le rilevazioni che Wikileaks si prepara a diffondere, cablogrammi diplomatici con accuse di corruzione, 2,7 milioni di e-mail che il Dipartimento di Stato americano ha scambiato con le rappresentanze diplomatiche nel mondo: conterrebbero "imbarazzanti commenti" su diplomatici e leader mondiali, ce ne sarebbe anche per il nostro Paese e per i nostri leader.

Gli eventi messi in fila da Frattini per gridare alla cospirazione non hanno alcun punto di contatto, nessuna coerenza. Anche a forzarne la lettura non possono "far sistema" e sistematico è sempre un complotto. È difficile sovrapporre o accostare l'archeologia ai rifiuti o i rifiuti ai sistemi di difesa, se si vuole stare ai fatti. Più agevole forse scorgere dei nessi ipotetici tra Finmeccanica e Wikileaks, tra il lavoro nel mondo del gruppo industriale e l'attività corruttiva che il sito di Julian Assange svelerà nelle prossime due settimane.

Per farla corta, il complotto contro l'Italia denunciato da Frattini è troppo elaborato e, si sa, tanto più è elaborato un complotto, tanto meno è probabile che esista... Il solo filo che può tenere insieme i rifiuti, l'incuria per i nostri beni culturali, gli illegalismi (possibili) nella gestione di Finmeccanica e le e-mail di Dipartimento di Stato è l'immagine del Paese, la reputazione e l'affidabilità della sua leadership. Qui si può anche immaginare che i cablogrammi spediti dall'ambasciata americana da Roma a Washington possano fare disastrosamente la loro parte dando conto dell'ambiguità dell'"amicizia" tra Berlusconi e Putin, del legame tra il Cavaliere e Gheddafi, della natura occulta degli accordi economici tra Italia-Russia-Libia o addirittura delle scapestrate e irresponsabili abitudini private che rendono il nostro capo del governo ricattabile in qualsiasi momento. Anche in questo malaugurato caso, però, si può parlare di cospirazione o agitare - come fanno i corifei del Cavaliere - lo spettro di una "potente centrale politico-affaristica" che vuole distruggere il governo e impadronirsi del Paese?

È sufficiente soltanto il buon senso per impedirsi di dar credito a questo racconto. Se si parla di Napoli e della sua catastrofe ambientale è perché non c'è in Occidente un'altra città ridotta in questo stato o un altro governo che, dopo anni e miliardi di euro, non sappia mettere fine a quella sciagura. Se si parla di Pompei è perché nessuna altra civiltà (se si esclude l'oscurantismo dei Talebani) demolisce o abbandona alla distruzione i simboli della sua storia e della sua cultura. Se si deve raccontare di che cosa accade in Finmeccanica è perché un faccendiere legato a banditi, mafiosi, neonazisti e massoni (Gennaro Mokbel) riesce a mettere le mani, pagando 8 milioni e 300 mila euro, sul 51 per cento della società Digint, partecipata al 49 per cento da Finmeccanica Group, il fiore all'occhiello dell'industria nazionale.

Dov'è, che c'entra il complotto? Che c'entra il Burattinaio? E chi può esserlo, poi? Chi può credere decentemente che questi fatti non si sovrappongano per una coincidenza, per una causalità ma grazie al lavoro di un "potenza" ostile? Sappiamo che sempre la propaganda prospera dalla fuga dalla realtà nella finzione e che noi non crediamo alla realtà del mondo visibile e sempre più ci fidiamo più della nostra immaginazione, ma anche in questo caso un'opinione pubblica anche se ipnotizzata dal rumore dei media fa fatica a credere a un'onnipotenza che tutto comprende, a un onnipotente che tutto programma.

Se ne rende conto anche il governo, a tarda sera. Consapevole dell'inconsistenza di ogni spiegazione cospiratoria, Frattini deve correggere il tiro: "Non vi è un unico burattinaio, ma una combinazione di informazioni inesatte e di enfatizzazione mediatica di fattori negativi il cui risultato è dannoso per l'immagine dell'Italia". Un piano contro il quale il comunicato di Palazzo Chigi invoca "fermezza e determinazione per difendere l'immagine nazionale e la tutela degli interessi economici e politici del Paese".

Ora qualche nebbia sembra diradarsi. Dunque, i problemi non sono i fatti ma chi li racconta o chi deve accertarli. Per il governo, non bisogna riferire e riflettere su "i fattori negativi". Se lo si fa, ci si iscrive alla schiera dei cospiratori, ai nemici dell'Italia che minacciano l'immagine nazionale e gli interessi economici del Paese. Un atteggiamento, dice Berlusconi, "anti-italiano". È "anti-italiana" l'informazione. È "anti-italiana" la curiosità della magistratura per Finmeccanica. Eliminato il giornalismo e l'ordine giudiziario - sembra di capire - l'Italia del Cavaliere non avrebbe più problemi né macchie né angosce. Contro questi "nemici" il governo invoca "fermezza e determinazione". Quali saranno, viene da chiedere, gli strumenti, le iniziative o le leggi che l'esecutivo disporrà o approverà per difendere immagine nazionale e interessi economici?

Senza dubbio, si può anche beffeggiare quest'ultima trovata complottistica per coprire i sempre più fragorosi fallimenti del governo. Antonio Di Pietro lo fa disegnando un Frattini che alza troppo il gomito prima di prendere la parola in pubblico. Un minimalismo beffardo può essere un errore, però. Quando il potere spinge il cospirazionismo nel cuore stesso della vita politica di un Paese si deve sapere udire il suono di un pericolo, l'annuncio di un rischio. Si deve poter vedere non tanto la mediocre infelicità dell'iniziativa, ma la trama di una politica.
Lo si può dire così. Come si può giustificare lo stupefacente crollo di un regime politico incardinato in un leader carismatico e popolarissimo, sostenuto da una maggioranza politica numericamente inattaccabile e da un consenso quasi ipnotico? Se l'autorità politica è incapace di riconoscere le proprie responsabilità e la sua incompetenza, si fa strada soltanto un'altra possibilità: la soluzione cospiratoria che più rendere ragione dei fatti - di tutti i fatti accaduti - in modo unitario, senza coinvolgere il malgoverno, le inettitudini delle persone, l'inidoneità delle politiche. È una strada - la teoria del complotto - che offre anche un qualche ragionevole elemento di speranza. Se si individuano e afferrano "i cospiratori", se li si colpisce o in ogni caso si impedisce loro di nuocere ancora, la battaglia può essere vinta, l'Italia potrà essere liberata non da chi l'ha ridotta in miseria e rovina ma, con un rovesciamento di ruoli e responsabilità, da chi ne ha subito finora le disgrazie.

Non si deve trascurare l'irrompere nella "narrazione" del Cavaliere del cospirazionismo finora utilizzato per proteggere se stesso non per denunciare le minacce contro il Paese. È vero, il cambio di passo può essere semplicemente l'inizio della prossima campagna elettorale. La filastrocca la si può già sentire: una "potente centrale politica e finanziaria", con un complotto, mi ha impedito di governare e di fare gli interessi del Paese, datemi la maggioranza del 51 per cento e vi libererò da ogni nemico. Ma c'è anche un'altra possibilità che deve essere tenuta in considerazione. Che cosa può produrre la diffusione della leggenda di una cospirazione nello stato di insicurezza (percepito e concreto) che angoscia il Paese? Al crepuscolo della sua avventura politica, Berlusconi potrebbe essere tentato di giocare la carta dell'emergenza, una condizione straordinaria che, nell'interesse del Paese, richiede decisioni che sacrifichino le norme, un diritto liberato dalla legge. 

"La creazione volontaria di uno stato d'eccezione - ha scritto Giorgio Agamben - è divenuta una della pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche quelli cosiddetti democratici". D'altronde, lo abbiamo sempre saputo che Berlusconi avrebbe trascinato il Paese nella sua caduta.

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