(da La Repubblica, Claudio Tito)
IL TESTO può essere migliorato in Parlamento". Dopo una lunga giornata
di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd
attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le
Camere potranno intervenire senza però snaturarla. Una linea che in
serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga
telefonata. Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il
premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati,
mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni
fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione
"Porta a Porta".
Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati.
Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge
delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio
dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con
la formula "salve intese". Un modo per rassicurare i democratici,
prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo
permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in
Cina con la riforma già approvata.
Una soluzione che il
Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano
ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier,
dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il
Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze
politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi
determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le "opposte
simbologie". Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la
modifica dell'articolo 18 in una sorta di totem.
Preoccupazioni
già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla
necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle
organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la
"moral suasion" del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo
Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano
di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la
certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle
chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha
sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai
vertici del Pdl.
L'idea del decreto non gli è stata prospettata
da Monti ma sul ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre
espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con
Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche
perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e
sofferenza. Ma questa volta con il premier non c'è stato nemmeno bisogno
di spiegare la sua eventuale opposizione. Del resto il Presidente della
Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi
possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento
un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle
Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo
della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il
Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte
evidenziato che l'adesione della Camusso al modello tedesco non era mai
stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di
"manutenzione" dell'articolo 18.
Eppure, nello stesso tempo, dal
Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa
confederazione dell'ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter
della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal
capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno
che anche a Corso d'Italia è ormai maturata la consapevolezza che non
tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è
comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare
tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello:
capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando
che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più
spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione,
sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l'enfatizzazione
eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea
che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in
un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le
battaglie storiche del sindacato, ma non ha nemmeno dimenticato le
sconfitte come quella sulla scala mobile.
Nell'incontro ristretto
che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il
governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi
fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni. Anche per
questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in
alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un
valore da difendere - lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente
della Repubblica - ma non a costo dell'immobilismo. Nello stesso tempo
al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale
crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio.
Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha
apprezzato la presa di distanza della Cgil dall'episodio che ha
coinvolto l'altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una
militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del
ministro Fornero. Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per
tendere la mano verso il Pd. "Voglio unire e non dividere", spiega in
queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere
sottovalutato. È addolorato per il no della Camusso ma non intende
nemmeno fare dietrofront sull'intera riforma. A Bersani - ma anche a
Fini e a Schifani - ha spiegato che proprio in Parlamento possono
intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature "nella
maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il
governo". Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere
in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.
Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a
coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a
Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa "non possono
essere sottovalutate". E i primi segni di queste conseguenze sono già
emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha
corretto in corsa la sua impostazione.
Un primo chiarimento,
quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto. Non solo con Bersani.
Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due
correnti diverse all'interno dei democratici: con D'Alema e con Fioroni.
E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un
altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un'ultima
offerta per persuadere definitivamente il Pd.
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