Riforma
elettorale: trovata la quadra. Ci è voluto un doppio salto mortale
carpiato con avvitamento a destra per mettersi d'accordo ma tutto
cambierà, tranne le liste bloccate. Durante le riunioni, i partecipanti
hanno consultato un testo fondamentale, il Gattopardo di Giuseppe
Tommasi di Lampedusa.
LA PAURA di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l'architrave su
cui poggia l'accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che
sostiene il governo "tecnico". Sull'idea che nessuna forza politica - a
cominciare da Pdl, Pd e Udc - sia in grado di scommettere sul
risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le
mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la
porta ad ogni soluzione per il dopo-voto.
E lo dimostra l'idea di tornare a un sistema
sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e
assegnando un premio che non determina la maggioranza. Una
convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile
- almeno al momento - sconfitta senza precludere la possibilità di
ricomporre l'alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza,
peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e
autorevole.
I centristi, invece,
non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno
confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano
sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo
Chigi anche nella prossima legislatura (l'indicazione del premier non è
prevista in Costituzione e quindi non sarà obbligatorio rispettare le
designazioni dei partiti). Senza dimenticare che subito dopo il voto, le
Camere dovranno eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica e
nel gioco delle trattative chi - come il Terzo Polo - sarà
determinante negli equilibri parlamentari potrà avere più carte da
spendere nella corsa al Quirinale. Insomma, tutti potranno fare
la campagna elettorale in solitaria senza compromettere nulla. Perché
tutto si gioca solo a urne chiuse.
La novità più importante è l’eliminazione dell’obbligo di coalizione,
nel senso che diventerà facoltativo: le forze politiche che vorranno
rendere chiare le alleanze lo faranno, ma non sarà obbligatorio. Resta
l’indicazione del presidente del Consiglio. Restano invariati anche la
soglia di sbarramento e il premio di maggioranza. Ai partiti più piccoli
è garantito un non meglio precisato (per ora) “diritto di tribuna”. In
definitiva si torna a un sistema proporzionale “secco”, anche se per il
partito che avrà più voti ci sarà un premio di maggioranza.
L’altra novità l’ha comunicata in serata il segretario del Pdl Angelino Alfano
parlando con i senatori del gruppo: “Il partito che prenderà più voti –
ha spiegato – sarà quello che indicherà il premier ”. Un rafforzamento deciso, dunque, della figura
del presidente del Consiglio (come il premio di maggioranza, a vantaggio
della governabilità), che aprirebbe scenari inediti anche nel
centrosinistra dove quindi il capo del governo sarebbe indicato dal Pd.
Sembrava che dovessero tornare le preferenze, ma l’ipotesi è stata
subito sotterrata da una riga dell’ufficio stampa del Pd:
“L’informazione secondo la quale nei colloqui di oggi sulla legge
elettorale si sarebbe convenuto sul ritorno alle preferenze è destituita
di fondamento”. Ci si rivolgerebbe, piuttosto, nella direzione di un
rafforzamento del sistema dei collegi.
Soglia di sbarramento al 4-5 %. Nel dettaglio l’accordo
sulle riforme costituzionali prevede uno sbarramento che potrebbe
collocarsi tra il 4 e il 5 per cento. Da qui sarà pensato un cosiddetto
“diritto di tribuna” per le forze politiche che non raggiungono il
quorum per entrare in Parlamento.
Taglio dei parlamentari. L’accordo prevede anche il
taglio dei parlamentari. Il numero dei seggi dovrebbe scendere da 630 a
500 deputati e da 315 a 250 senatori, secondo la bozza di accordo.
Nel Pd rivolta dei “Prodiani”. “Apprendiamo con sorpresa che il Pd
rinuncerebbe al bipolarismo di coalizione l’unico bipolarismo possibile
in Italia - scrivono i senatori “prodiani” Marina Magistrelli, Mauro Marino e Franco Monaco,
componenti della direzione del partito - Una soluzione in contrasto con
i deliberati formali del Pd e con la sua linea politica: quella del
nuovo Ulivo aperto alle forze moderate di centro nitidamente alternativi
al centrodestra nel quadro appunto di un sistema politico bipolare”. A
questi si aggiungono i “prodiani” alla Camera Albertina Soliani, Sandra Zampa, Mario Barbi, Antonio La Forgia, Fausto Recchia, Giulio Santagata:
“Ci chiediamo quanta resistenza abbia opposto Bersani a chi gli chiede
di dare seguito alle proposte di D’Alema e Violante. Non possiamo
avallare l’idea di ridurre ulteriormente la possibilità degli elettori
di scegliere parlamentari e governi”. Infine la voce di Giovanni Bachelet (figlio di Vittorio e
deputato): “Possibile che un partito nato con la vocazione maggioritaria e il
bipolarismo voglia consegnare al prossimo Ghino di Tacco il governo del
Paese, sacrificando Bersani e la democrazia dell’alternanza sull’altare
dei gattopardi di sempre?”.
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