(da La repubblica, Carlo Clericetti) - ARTICOLO MOLTO MOLTO INTERESSANTE
La flexicurity, favorire i giovani, eliminare il dualismo del mercato
del lavoro? Tutto fumo. Che serve per coprire l'obiettivo vero della
cosiddetta riforma, un obiettivo indicibile, perché politicamente
inaccettabile non solo dai sindacati, ma soprattutto dal Pd che poi, in
Parlamento, a quelle misure dovrà dare il suo voto, pena la caduta del
governo. L'obiettivo reale e principale è uno solo: i salari devono
diminuire.
Tra le misure imposte alla Grecia c'è stata anche la
riduzione del 30% del salari minimi, oltre ai vari tagli a indennità e
mensilità aggiuntive dei dipendenti pubblici. Per la Spagna non c'è
stato bisogno di imposizioni così plateali: la riforma del lavoro
approvata dal nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy (tanto lodata
dal nostro presidente del Consiglio) prevede tra l'altro che, dopo due
trimestri di riduzione dei ricavi, le aziende possano decidere
unilateralmente di ridurre le retribuzioni. Per i dipendenti c'è una
finta scelta: o accettano, o se ne vanno ottenendo un modesto indennizzo
monetario. Vogliamo fare qualche ipotesi su come si comporteranno, in
un paese dove la disoccupazione supera il 20%?
Se in Italia fosse
rimasto Berlusconi, la cui credibilità era sottozero, anche a noi
sarebbe stato imposto un diktat in proposito. Ora che c'è Monti, di cui
la signora Merkel si fida, si può lasciare a lui il compito - che però
resta lo stesso - in modo da salvaguardare almeno l'apparenza del
mantenimento di una sovranità ormai di fatto evaporata.
Tutto
questo accade perché Monti è un "nemico del popolo"? In realtà le
personali inclinazioni del presidente del Consiglio in questo caso
c'entrano poco. In un altro articolo ("La trappola europea" 1)
avevamo cercato di spiegare quali siano i presupposti di questa
politica, la cui dimensione non è solo italiana ma europea. Qui basta
ricordare che, quando un paese perde competitività (ed è il caso
dell'Italia e di tutti gli altri paesi colpiti dalla "cura"), se non può
svalutare la moneta - e nessuno dei paesi euro può prendere questa
decisione - deve procedere a una "svalutazione interna", cioè deve
fare in modo che prezzi e salari si riducano fino a quando la sua
economia non torna competitiva. A quel punto, sostiene questa teoria, il
paese aumenta le esportazioni, la bilancia commerciale ritorna in
equilibrio, l'economia riparte e tutti tornano felici.
Ma,
appunto, di una teoria si tratta, e molti economisti di primo piano
sostengono che è completamente sbagliata. Perché nel frattempo il paese
in questione entra in recessione, le aziende chiudono, la disoccupazione
aumenta, cadono i redditi e il Pil, i conti pubblici peggiorano
nonostante i tagli: si alimenta, cioè, una spirale perversa. Lo abbiamo
visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Portogallo, in Spagna, in Italia.
Molto probabilmente tra poco la Francia si unirà al gruppo. Ma finché
non se ne convincono i tedeschi, che in questa fase di fatto comandano
in Europa, la linea non cambierà.
E veniamo alla nostra
"riforma". Al di là degli escamotage che saranno inventati dai sindacati
per salvare la faccia, l'articolo 18 sarà reso completamente
inefficace. Dal momento che è ormai scontato che il licenziamento potrà
essere motivato da ragioni "economiche o organizzative", nessun
imprenditore sarà così sprovveduto da attuare licenziamenti
discriminatori o persino disciplinari: un problema organizzativo - con
la necessità di ristrutturazione che hanno tutte le aziende in questa
fase - si trova molto facilmente. E allora, con i licenziamenti
praticamente liberi, succederà una di queste due cose, o meglio tutt'e
due. In parte verrà posta la scelta tra riduzioni di salario o un certo
numero di licenziamenti; in parte ci si libererà di una parte di
lavoratori più anziani per sostituirli, a minor costo, con giovani che
nel migliore dei casi entreranno con il contratto di apprendistato, tre
anni - estendibili a cinque - a salario ridotto e con la possibilità
di esser mandati via. Ci saranno un po' di ammortizzatori sociali, ma
con una durata inferiore agli attuali e con meno gente che avrà la
possibilità di passare - alla loro scadenza - alla pensione, visto
che l'età è stata aumentata. Un meccanismo poco appropriato, ma che
finora aveva sostituito, anche se non per tutti i lavoratori, le carenze
delle protezioni dalla disoccupazione.
C'è un'altra strada? Ci
sarebbe, e sono ormai immumerevoli gli appelli e i "manifesti" di
economisti e politici che la indicano. L'ultimo è quello dei democratici
e progressisti europei che si sono riuniti a Parigi il 17 marzo e hanno
diffuso una dichiarazione comune intitolata "Renaissance pour
l'Europe". L'altra strada è quella di non puntare tutto e subito sul
risanamento dei bilanci pubblici, che va fatto, ma in modo più graduale e
non in una fase di recessione. Di utilizzare strumenti che permettano
di stimolare la crescita, come i "project bond" europei, con cui
realizzare opere infrastrutturali e investire sull'energia rinnovabile.
Di premere a livello di G20 per realizzare una riforma della finanza per
cui finora poco o nulla è stato fatto. Insomma, di dosare i tempi
dell'aggiustamento e soprattutto di accompagnarlo con misure che
favoriscano la ripresa dell'economia, senza la quale gli sforzi dovranno
essere molto più pesanti e - soprattutto - rischiano di essere
inutili. Questo non significa che si eviterebbero i cosiddetti
"sacrifici", ma certamente sarebbero meno drammatici e il purgatorio
durerebbe meno.
Per il momento questa strada alternativa è
sbarrata dalla determinazione contraria dei tedeschi e dei loro alleati.
Ma nel giro di un anno ci saranno le elezioni politiche nei tre paesi
più importanti dell'Eurozona, Germania, Francia e Italia. Se vinceranno i
partiti progressisti la musica cambierà. Sperando che non sia troppo
tardi.
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