Ma siamo proprio sicuri che i leghisti milanesi, turandosi il naso, si recheranno compatti alle urne per votare Letizia Moratti? Lo sapremo fra quarantotto ore. Nel frattempo il dubbio serpeggia fra i clan rivali di un Pdl trascinato a forza su posizioni estremiste da Berlusconi, non appena intuito il rischio di rompersi l'osso del collo proprio nella sua capitale; a presidio della quale s'è ritrovato una sindachessa più fragile e impopolare del previsto.
Le perplessità di Umberto Bossi sulla ricandidatura della Moratti furono sempre dichiarate in pubblico. E nei giorni scorsi sono state ribadite con un duplice avvertimento al partner di governo: sia ben chiaro che, presentandosi capolista a Palazzo Marino, Berlusconi ha scelto di legarsi mani e piedi alla sorte di lady Mestizia; dunque il mancato conseguimento di quota 50% al primo turno, determinerebbe una "situazione difficile". La Lega, con ragione, descrive il ballottaggio a Milano come una grave incognita; non solo per l'incertezza del suo esito, ma anche per il deterioramento nei rapporti interni alla coalizione che ne conseguirebbe.
Nel frattempo, il candidato del Carroccio alla carica di vicesindaco, Matteo Salvini, accusa la Moratti di avere indirizzato un messaggio fuorviante ai milanesi con il suo attacco a Pisapia, e, peggio ancora, di aver "detto una bugia". Pesante. Se ci aggiungiamo le critiche di Calderoli al condono edilizio promesso da Berlusconi ai napoletani, e le ripetute attestazioni di stima al presidente Napolitano con cui la Lega ha voluto distinguersi dal premier, ne emerge uno smarcamento plateale. Una somma di indizi tale da caricare di significati premonitori le parole pronunciate da Roberto Maroni a Gallarate, dove la Lega ha deciso di presentarsi da sola in contrapposizione al Pdl: "Correndo da soli torniamo alle origini. Questo è un esperimento interessante di ritorno al futuro".
Ritorno al futuro? Il calcolo della Lega è evidente. Confida di usufruire a tempo debito della crisi del berlusconismo, incassando pure in Lombardia e in Piemonte un massiccio travaso di elettori come già avvenuto in Veneto. Così raggiungerebbe il suo vero obiettivo: diventare il partito di maggioranza relativa del Nord Italia. Il trauma di una mancata vittoria della Moratti al primo turno delle elezioni milanesi, se gestito da Bossi con la dovuta enfasi, potrebbe accelerare questo processo. Da qui il sospetto, niente più che un sospetto: i dirigenti del Carroccio non starebbero facendo tutto il necessario per vincere l'ostilità culturale della loro base milanese nei confronti della Moratti. Sensazione che innervosisce assai il Pdl milanese, già allarmato da un'altra circostanza: per la prima volta da molti anni, Comunione e Liberazione non ha dato un'esplicita indicazione di voto ai suoi militanti.
È questo insieme di fattori che sta determinando la sconcertante inversione di ruoli in atto fra i due partiti della destra italiana: oggi la Lega riesce a presentare di sé, con disinvolta messinscena, una fisionomia moderata; approfittando dell'estremismo di Berlusconi che modifica i connotati del Pdl strattonandolo fin sulle posizioni estremistiche dei Lassini, dei Sallusti e delle Santanché. Assecondate infine maldestramente dalla Moratti.
Con la sua astuta presa di distanze dalla campagna forsennata contro i magistrati e il presidente della Repubblica, il partito di Bossi (che pure in passato sparò sui medesimi bersagli) intravede un nuovo spazio da occupare e mira a offrirsi come alternativa ragionevole per l'elettorato conservatore del Nord. Tremonti se ne compiace in silenzio. E pure Formigoni cerca uno spazio autonomo, profittando delle difficoltà della Moratti e di La Russa. Gli stessi clan affaristici milanesi finora subalterni a Berlusconi si guardano intorno preoccupati, in cerca di nuovi protettori per il dopo. La rottura già sfiorata sulla guerra di Libia, ma soprattutto lo sconcerto determinato nell'opinione pubblica di destra dal fallimento della politica di contenimento del flusso migratorio dei nordafricani, potrebbero sollecitare il gruppo dirigente leghista a forzare i tempi. Bossi è prudente. Subodora il prossimo disfacimento della galassia berlusconiana, ma l'esperienza lo induce a non sottovalutare le risorse e la capacità di ricatto del suo partner. Da stratega navigato dell'antipolitica, inoltre, sa bene che per raccogliere l'eredità del berlusconismo non gli gioverebbe il ruolo del sicario. Meglio attendere che il Cavaliere finisca di farsi male da sé. A meno che un eventuale fallimento della Moratti gli consenta di presentare il conto in anticipo.
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