Le cose stavano andando benino, per B. Si era comprato uno stock di Responsabili, scavallando la sfiducia. Intanto il Pd riusciva a perdere le sue primarie a Milano e a truccare e poi annullare quelle di Napoli per candidare un signor nessuno, dopodiché era riesplosa la solita guerra fra veltroniani e dalemiani. I tg di regime facevano la loro parte riservandogli 261 minuti in tre mesi contro gli 84 di Bersani. Insomma la mummia di Arcore stava riprendendo un po’ di colore, grazie anche all’apposito sondino nanogastrico.
Poi è rientrato in scena con la consueta grazia Giuliano Ferrara, che dopo anni di letargo ha deciso di riprendere in mano le sorti del Pdl. Ed è stata subito catastrofe. Non bastassero i contributi beneauguranti di Olindo Sallusti e Rosa Santanchè e i preziosi consigli di Belpietro, il Platinette Barbuto s’è paracadutato sul Cainano convalescente, disintegrandolo. L’idea – ammettiamolo – di trasformare le comunali in un referendum pro o contro la Boccassini e Ingroia, il bungabunga e Ciancimino aveva un che di geniale. Meglio ancora la trovata di tappezzare Milano di manifesti sulle “Br in Procura”. Addirittura strepitosa la campagna per fare del mite borghese Pisapia un terrorista rosso ladro di Ape Piaggio. Complimenti vivissimi a chi ha dato la linea.
Ora che si contano i morti e i feriti, la parola d’ordine è “incredulità”. B. non se l’aspettava. Bossi men che meno. La Padania parla di “voto anomalo”. E tutti a domandarsi: com’è che non votano più per noi? Forse non ci hanno capiti, chissà come mai. La Santanchè invece insiste che, con quel drogato di Pisapia, Milano diventerà un enorme Leonka tutto spinelli e spranghe. Il Giornale di Mastro Olindo trova che “tira brutta aria” e rivela che “non è andata bene”, ma “il Pdl tiene” (perde solo un terzo dei voti in un anno) e comunque non è colpa del padrone, figuriamoci: “Lo scivolone della Moratti è dovuto alla radicalizzazione dello scontro voluto da Berlusconi? Io credo di no, la linea dura ha preso più voti del sindaco moderato”. Infatti gli elettori hanno premiato la campagna sallustiana “Io voto Lassini”. Strepitoso successo: 872 preferenze, cioè tutti i lettori e quasi tutti i redattori del Giornale, più alcuni parenti stretti di Sallusti (quelli di Lassini no: lo conoscono). Insomma, secondo Olindo, B. “paga un anno di massacro mediatico”.
Vero: come l’ha massacrato il suo Giornale, non l’ha massacrato nessuno. Molto apprezzati dai fan di zio Tibia i titoli “Ciclone Berlusconi”, “Mandiamoli a casa, il voto è la grande occasione per liberarci di questa sinistra amica degli estremisti”. Decisive le profetiche prime pagine di Libero: “Via le Br dalle liste”, “Aria di festa”, “Silvio alla riscossa”, “La campagna in prima persona porta un recupero fenomenale di consensi. Il centrodestra vincerà ancora perché è l’unico ad avere un leader”, “E se il Pd perdesse Torino e Bologna?”. Fatto.
L’altra sera, in tv, la comica finale. Non contento di averlo sospinto giù dalla scarpata, Ferrara spiegava che B. ha sbagliato tutto. Infatti ha dato retta a lui. E pure la Moratti, che sinché riusciva a fingersi autonoma da B. vinceva, poi s’è ferrarizzata e berlusconizzata, e il risultato s’è visto. Povera donna. Anche lei, fino a due settimane fa, aveva la vittoria in pugno. Poi ha letto sul Giornale un editoriale-soffietto che le pronosticava “il secondo mandato” grazie alla “solita grinta e tranquillità”, al “lavoro ben fatto” di “questa signora” che “fa pochi scontenti”, “tiene in pugno una grande città europea e la proietta sulla scena del mondo, non si cura del chiacchiericcio, realizza quel che ha promesso”, insomma “la Moratti è un tipo di leadership femminile che persuade senza voler incantare e per questo è oggetto di attenzioni speciali da parte del mondo ideologico che odia le persone capaci, gli imprenditori in politica, la ricchezza familiare”. Mentre faceva i debiti scongiuri, ha letto la firma del leccatore: Giuliano Ferrara. E lì ha intuito che non c’era più niente da fare.
(Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2011)
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