Meno male che Napolitano c’è, viene da dire a tutti i detrattori del Presidente della Repubblica, quelli che - durissimi e purissimi - imputano ogni piè sospinto al capo dello Stato eccesso di prudenza. Meno male che Napolitano non si fa trascinare nel rumoroso e ormai inguardabile spettacolo della rissa quotidiana fra fazioni e, per quanto grossolanamente provocato, non cade nella trappola e mantiene l’assetto di garante delle istituzioni: garante di tutti, davvero sopra le parti, garante anche di quelli che non ne comprendono per dolo o per colpa l’impegno e la fatica...
In una giornata fittissima e per lui dolorosa (Andrea Geremicca, ieri il funerale, era l’amico di una vita) Napolitano ha chiesto formalmemente ai vertici Rai di informare i cittadini sui referendum di giugno, ha detto che investire sulla cultura è una priorità in base alla quale dovrebbero essere rivisti i criteri di spesa, ha invitato i presidenti del Consiglio e delle Camere a votare la fiducia al governo, integrato da nove nuovi sottosegretari, perché “sono entrati a farvi parte esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche".
Partiamo dal fondo. Nel linguaggio delle istituzioni il comunicato di Napolitano dice che: 1) siamo di fronte a un ‘ribaltone’, una forza politica che esce e una che entra, per giunta senza essere passati da una crisi di governo e dunque da una successiva indispensabile legittimazione parlamentare. 2) che i sottosegretari sono stati nominati sotto “l’esclusiva responsabilità del governo”, con ciò prendendo le distanze dal merito delle nomine ma soprattutto indicando che la seconda tornata annunciata - la seconda rata del pagamento in poltrone a coloro che il 14 dicembre hanno salvato il governo altrimenti in minoranza - implica una modifica legislativa alla Bassanini che molto difficilmente vedrà il suo consenso.
Un governo di gente comprata e pagata sull’unghia è uno spettacolo indecente. La moltiplicazione delle poltrone per saldare il conto (pagandolo coi soldi di tutti) è intollerabile in un paese piegato dalla crisi, attraversato da tensioni sociali, un paese che vede in piazza milioni di persone per uno sciopero generale che reclama legalità e lavoro. Che la Lega sia connivente coi “ribaltoni romani” e con la moltiplicazione dei pani e dei pesci dopo aver reclamato per anni la riduzione delle spese della “casta” è il segno di quanto si sia lasciata corrompere dalla logica di quel Potere che finge di combattere, prima o dopo dovrà renderne conto ai suoi elettori.
Il richiamo alla cultura e all’informazione non sono meno importanti. Sottrarre ai cittadini il diritto ad essere informati è l’esercizio omeopatico che goccia dopo goccia avvelena gli italiani. Farlo, secondo convenienza, per evitare che vadano a votare è un delitto politico. Tagliare fondi alla cultura è il modo per spegnere definitivamente il barlume di coscienza e di capacità critica e dialettica che sopravvivono: un disegno criminale.
Se non fosse che gli italiani ieri erano in piazza, con la Cgil, esasperati dalla povertà di mezzi e di prospettive materiali ci sarebbe da chiamare alla mobilitazione generale sui principi: la democrazia, il diritto al sapere. Puntano allo sfinimento, all’esaurirsi delle forze fisiche di chi resiste ma non ci riusciranno. È molto pericoloso, oltretutto. La scintilla della rivolta fa capolino, di tanto in tanto, persino dagli schermi tv.
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