LA "DEMOCRAZIA dello spread", tra storture e paure, ha generato un 
piccolo miracolo. Quello che nasce dalle macerie del berlusconismo è un 
buon governo del Presidente. La sua qualità tecnica è da elogiare. La 
sua intensità politica è da dimostrare. Ma se l'Italia ha ancora una 
chance per salvarsi, quella si chiama Mario Monti.
La formula 
migliore, per definire il suo esecutivo, la conia lui stesso. "Un 
governo innovativo": così dice il presidente del Consiglio. Il nuovo 
governo che ha giurato ieri nelle mani del Capo dello Stato nasce 
effettivamente nel segno di una forte discontinuità. Per almeno tre 
motivi. Il primo motivo: un governo formato interamente da tecnici non 
ha precedenti nella storia repubblicana. Per trovare qualche analogia si
 deve risalire al governo Ciampi del '93 (quando il premier incaricato e
 non eletto, in piena tempesta di Tangentopoli, fu prelevato 
direttamente dalla Banca d'Italia) e al governo Dini del '95 (quando 
l'ex direttore generale di Via Nazionale ed ex ministro del Tesoro del 
primo governo Berlusconi fu chiamato a supplire al patente disarmo 
bilaterale dei due poli). Ma in quei casi si trattò di governi "misti": 
molti tecnici, ma anche diversi esponenti dei partiti.
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| SuperMario Bros | 
Questa 
volta è diverso. Monti è stato costretto ad optare per un governo 
costruito interamente al di fuori del perimetro della politica. Una 
scelta imposta dal gioco dei veti incrociati tra Pdl e Pd, che alla fine
Il
 secondo motivo è il rilievo che, nel nuovo governo, avrà l'economia. Il
 presidente del Consiglio, come previsto, tiene l'interim del Tesoro. 
Toccherà a lui il lavoro più duro: scrivere un'"agenda Monti" per il 
rientro dal debito pubblico. Ma al suo fianco, con un ruolo da 
superministro dello Sviluppo, che assomma anche le deleghe delle 
Infrastrutture e dei Trasporti, ci sarà Corrado Passera. All'ex 
banchiere di Intesa, in sostanza, spetterà l'altro compito speculare a 
quello del premier: mentre Monti si occuperà delle misure di risanamento
 dei conti, Passera si occuperà delle misure di sostegno alla crescita. 
È
 una scelta che indica fin da ora la priorità e l'emergenza che il nuovo
 governo si prepara ad affrontare. E anche questo fa giustizia delle 
sguaiate polemiche sulle "congiure giudo-pluto-massoniche" del 
"direttorio franco-tedesco" e sul "governo dei banchieri". Una critica 
stupida, autarchica e provinciale, che alligna non solo in certe aree 
più radicali della sinistra, ma soprattutto in certe nicchie della 
destra sconfitta e sedicente "liberale". Come se Tremonti fosse stato 
meglio di Passera. Come se al Tesoro, nelle condizioni politiche 
attuali, potesse andare Nichi Vendola. Oppure, sul fronte opposto: come 
se fosse stato "liberale" il gigantesco conflitto di interessi di 
Berlusconi. O come se il tanto lodato Gianni Letta non fosse a sua volta
 advisor della "Spectre" della Goldman Sachs, esattamente come Monti. 
Il
 terzo motivo è la presenza femminile. Tre donne sono poche, rispetto a 
diciassette incarichi ministeriali. Ma la Cancellieri, la Severino e la 
Fornero vanno ad occupare ministeri-chiave, come gli Interni, la 
Giustizia e il Welfare. Enrico Cuccia, ai tempi dei consigli di 
amministrazione dei Salotti Buoni, diceva che "i voti si pesano e non si
 contano". In questo caso si può dire la stessa cosa. Quei tre ministeri
 "pesano" infinitamente di più del loro valore numerico. Basti pensare 
al compito che aspetta la Fornero, esposta sul fronte cruciale della 
riforma delle pensioni, che la vedrà in campo probabilmente contrapposta
 a un'altra donna di peso, come il segretario della Cgil Susanna 
Camusso. 
Il governo Monti, dunque, può prendere il largo. È un 
governo allo stesso tempo forte e fragile. È forte della sua autonomia e
 delle sue competenze. E questa è una garanzia al cospetto delle 
cancellerie europee (che hanno già dato al premier un riscontro più che 
positivo) e dei mercati finanziari (che speriamo gli concedano nelle 
prossime ore una tangibile "apertura di credito"). Ma è anche fragile, 
per ragioni uguali e contrarie. I partiti (ad eccezione della Lega) lo 
sorreggono dall'esterno ma non lo innervano dall'interno. Questo fa una 
qualche differenza, sul piano della piena e incondizionata 
corresponsabilità delle scelte necessarie, nei prossimi mesi, per uscire
 dalla crisi che, insieme all'Italia, rischia di portare alla bancarotta
 anche l'euro. 
Il governo di "Mister Spread" può contare sul 
sigillo istituzionale di Giorgio Napolitano, il vero, straordinario 
regista di questo "miracolo" realizzato in due giorni e mezzo, dentro i 
principi del patto costituzionale e della democrazia parlamentare (a 
dispetto dei queruli urlatori del "golpe in guanti bianchi" e 
dell'"Italia declassata a democrazia minore"). Ma non può contare su una
 specifica maggioranza politica: deve appoggiarsi a una generica 
convergenza parlamentare. Questo ne rende più difficile il cammino. Il 
suo orizzonte, che si vuole giustamente di fine legislatura, è affidato 
alle larghe, ma instabili intese raggiunte dai partiti in questi giorni 
difficili. È appeso alla responsabilità del Pd, pronto a impiegare tutte
 le sue energie al servizio di una transizione che, ancora una volta, 
trascende o prescinde dalla sinistra. Alla fedeltà del Terzo Polo, che 
rinuncia provvisoriamente a lucrare rendite di posizione estranee alla 
logica bipolare. E infine all'affidabilità del Pdl, che dopo la caduta 
del suo Padre-padrone minaccia di sfasciarsi in mille pezzi, a conferma 
della natura proprietaria di un partito nato dalla pura giustapposizione
 degli interessi e cementato solo dal berlusconismo, almeno quanto i 
suoi avversari lo sono stati dall'anti-berlusconismo. 
Questa 
volatilità politica (al pari di quella finanziaria) può complicare la 
vita del nuovo esecutivo. Ma dobbiamo sapere che a questa soluzione, qui
 ed ora, non c'è alternativa. Dobbiamo sapere che il governo del 
Professore non è neanche lontanamente paragonabile al governo del 
Cavaliere. E dobbiamo sapere che, se fallisse anche questo tentativo di 
traghettare il Paese fuori dalla tempesta, oltre al default politico ci 
toccherebbe anche quello economico. Resta un'incognita, insita nella 
natura e nella cultura del governo appena nato. Nonostante la qualità 
indiscutibile delle persone che lo compongono (o forse proprio in 
ragione di questa qualità), questo è un "governo delle élite". Rettori e
 banchieri, giuristi e avvocati, prefetti e professori. C'è da chiedersi
 se questo "corpo" selezionato della migliore élite nazionale saprà dare
 voce e rappresentanza anche alla "gente normale".
Obiettivamente
 (e fortunatamente) il governo Monti è l'esatto contrario del governo 
Berlusconi. Da tutti i punti di vista. Compreso questo: che il primo, a 
differenza del secondo, nasce senza popolo. La sfida di Monti, 
proiettata sulla primavera del 2013, sta tutta qui. Deve riempire di 
politica il vuoto che può aprirsi tra una nuova oligarchia tecnicista e 
la vecchia autocrazia populista. Deve conquistarsi, voto per voto, il 
sostegno parlamentare. Ma soprattutto deve costruirsi, legge per legge, 
il consenso popolare. 

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