mercoledì 2 novembre 2011

Servono Miliardi?


All’ottavo posto al mondo per spese militari, nel 2010 l’Italia spende quasi 27 miliardi di euro per la difesa. Sono i costi del nuovo esercito professionale, delle missioni all’estero e dei moderni armamenti come il caccia “stealth” F-35. E mentre l’Italia è divenuta il secondo produttore mondiale di armi, piazzando il proprio export militare alle spalle di quello degli Stati Uniti, un rapporto internazionale svela che il sistema bancario nazionale è coinvolto nel finanziamento della produzione di “cluster bombs”, malgrado l’Italia abbia sottoscritto l’accordo per la messa al bando delle micidiali bombe a grappolo, responsabili delle più efferate stragi di civili.
Il costo esorbirante della spesa militare,  tocca un record storico malgrado la crisi economica, è contenuto tra i dati esibiti dal saggio “Il caro armato”, appena pubblicato da Francesco Vignarca (Rete Italiana per il Disarmo) e Massimo Paolicelli (Associazione Obiettori Nonviolenti).  «Il testo, edito da “Altreconomia” – riferisce “PeaceReporter” – spiega come questi costi siano da imputare alle oltre trenta missioni militari italiane all’estero, al mantenimento di un esercito professionale di 190.000 uomini», equipaggiato ormai con modernissimi sistemi d’arma....continua
Nell’esercito italiano, aggiunge “PeaceReporter”, «il numero dei comandanti supera quello dei comandati»: si contano 600 tra generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali. Il costo delle forze armate italiane è dovunto soprattutto all’acquisto diarmamenti tecnologicamente avanzati: dai nuovi sistemi d’arma dalla portaerei Cavour, ammiraglia della marina militare italiana, che costeranno 1,4 miliardi di euro, a nuovi vascelli come le fregate Fremm (5,7 miliardi) e ai
F-35nuovi caccia  F-35, che da soli assorbiranno una spesa di 13 miliardi.
Nel frattempo, il sistema bancario risulta coinvolto nella produzione di “cluster bombs”, che interessa 138 banche di tutto il mondo secondo la denuncia dell’associazione “Cluster Munition Coalition”, che riunisce oltre 200 Ong da tutto il pianeta contro le bombe a grappolo. Tra gli istituti di credito segnalati nel rapporto “Worldwide Investments in Cluster Munitions: a shared responsability”, c’è anche Intesa Sanpaolo. Nel luglio 2007, recita la relazione, l’americana Lockheed Martin, industria leader nel settore delle bombe a grappolo, ha rinnovato la sua attuale apertura di credito rotativo di 1,5 miliardi di dollari fino a luglio 2012. Intesa Sanpaolo, aggiunge la relazione, ha contribuito con 52,5 milioni di dollari al cartello delle 31 banche erogatrici del prestito.
Anche se l’Italia il 3 dicembre 2008 ha sottoscritto la convenzione che bandisce le “cluster bombs”, «il nostro Paese è solo tra i firmatari del trattato, che non è stato ancora ratificato dal Parlamento», osserva “PeaceReporter”. «E se sono più di 100 le nazioni ad aver firmato la Convenzione di Oslo, le ratifiche sono ferme a 23. Beffardamente vicine alla soglia minima di 30, necessaria a rendere il trattato operativo (e dunqueLebanon Norway Cluster Bombsvincolante per i Paesi membri). Quindi – aggiunge il newsmagazine indipendente – Intesa Sanpaolo non è obbligata da alcun tipo di regola internazionale a sospendere il prestito erogato a Lockheed Martin».
Ma le cose non sono così semplici, perché mentre ha rinnovato nella primavera 2007 il prestito a Lockheed Martin per le bombe a grappolo, poche settimane dopo la banca italiana ha integrato il proprio codice etico con una “weapon policy” che prevede, alla lettera, la sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardino il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma. «Perché la vicinanza di due decisioni così contrastanti tra loro?», s’interroga “PeaceReporter”. Il rapporto internazionale sostiene che, per migliorare la propria posizione, Intesa Sanpaolo «non dovrebbe tollerare eccezioni, ponendo fine a tutti i contatti con i produttori di bombe a grappolo, a meno di obblighi legali».
In realtà, il prestito a Lockheed Martin continua ad essere erogato perché l’accordo è (di pochissimo) precedente all’approvazione della “weapon policy”. «Una fonte interna ad Intesa Sanpaolo – aggiunge “PeaceReporter” – assicura che contratti come quello hanno tempi lunghissimi, per cui la vicinanza tra rinnovo e “weapon policy” è solo una coincidenza: il controllo IRAQ-HOSPITALSsulla concreta applicazione della “policy” è tuttora in corso di affinamento». Il contratto con il colossoUsa della difesa, poi, è in syndication, cioè in comune con altre 30banche.
Il gruppo bancario italiano, in ogni caso, finanzia indirettamente anche altre aziende produttrici di armi, acquistandone le azioni, tramite fondi comuni con altre bancheitaliane. Lo rivela uno studio del mensile di finanza etica “Valori” in collaborazione con l’Ires (Istituto di ricerca economica e sociale) della Toscana: tutte le banche italiane, ad eccezione di Banca Etica, possiedono titoli azionari di aziende produttrici di “cluster bombs”. Secondo gli studiosi,  Unicredit precede Bnp Paribas e, appunto, Intesa Sanpaolo. Da soli, questi tre gruppi investono circa 480 milioni di euro in armamenti. «Mezzo miliardo di euro: è la cifra che separa l’Italia da una reale adesione alla Convenzione di Oslo», accusa “PeaceReporter” (info: www.peacereporter.net).
MILITARY BUDGET - Italy will spend 23,5 billion euros for public military budget in 2010. Italian banks are world leader in the international support of the production of cluster bombs, forbiddeb by Oslo Convention (info:www.peacereporter.net).

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