mercoledì 16 marzo 2011

Da Sella e Minghetti a Tremonti. L’Italia del rigore senza sviluppo

Tagli alla spesa e riforme della Destra storica agli albori dell'unità misero a posto i conti pubblici ma lasciarono la nazione stremata. Fu la Sinistra di Crispi e Depretis a farla decollare. Oggi la storia si ripete al contrario: dopo la cura Ciampi, l'Italia è al declino. Un interessante articolo.

di Roberto Petrini, da Repubblica "Affari & Finanza", 14 marzo 2011

«Non spendere una lira in più di quanto entra in cassa». Era questa la giaculatoria laica che i superman della finanza pubblica dell' Italia ancora in fasce recitavano in pubblico e in privato.

Si chiamavano Quintino Sella e Marco Minghetti, si scambiarono il testimone tra il 1861, data della riunione del primo Parlamento e il 1876 data della fine del governo della Destra. Il loro obiettivo era di quelli considerati impossibili: abbattere l'enorme debito pubblico che il neonato Stato unitario aveva accumulato per finanziare le guerre del Risorgimento. Come fecero? Amministravano la cosa pubblica come se fosse stata l' azienda agricola di famiglia, non spendevano una lira di più di quanto potessero. Parsimonia e rigore erano le loro parole d' ordine. Uno stile di vita più che una concezione economica.

Quintino Sella, ingegnere idraulico del biellese, quando era già in politica, nel 1863, fu il primo a raggiungere la vetta del Monviso e, nel tempo libero, trovò il modo di fondare il Cai, il Club alpino italiano. Il titolo di un suo scritto la dice lunga sul suo carattere: "Teoria e pratica del regolo calcolatore". Non che fosse un provinciale: passò un lungo periodo di studio a Parigi e non trascurò l' Europa. Così come Marco Minghetti che il 16 marzo del 1876 annunciò in Parlamento il raggiunto pareggio di bilancio non era da meno per esperienza e caparbietà: lasciò Bologna per combattere da capitano con l' esercito piemontese nella prima guerra d' indipendenza, trovò il tempo per viaggiare per il Vecchio Continente, studiò biologia, mineralogia, chimica, botanica ed economia. Si dice che recitasse tutto Dante a memoria. 

Dovevano fare l' Italia e la fecero; anche dal punto di vista economico. Fecero diventare la lira la moneta del Regno, crearono la Ragioneria generale dello Stato e la Corte dei Conti. Insieme all' Italia nacque, il 10 luglio 1861, il Gran libro del debito pubblico, la maledizione della Penisola. Già allora era denso di numeri nella colonna del passivo: e i prestiti erano soprattutto consegnati in pericolose mani straniere: dalla Hambro (1851), alla Rothschild (1857) alla Blount (1866). Una situazione simile alla Grecia e al Portogallo di oggi, per capirci dove ad ogni sottoscrizione si era schiavi dei mercati internazionali e della nostra "rendita" regolarmente quotata alla Borsa di Parigi. Sella e Minghetti, come oggi Tremonti, non dormivano sonni tranquilli.

L' unico imperativo dei due rocciosi ministri di quell'Italia appena nata era risparmiare o, in alternativa incassare di più. 
Tagliarono le spese militari, anche se dovettero finanziare la decennale repressione dei moti meridionali. Ma soprattutto aumentarono le tasse e ne inventarono di nuove: l' ingegnere Sella studiò un marchingegno per calcolare direttamente all' interno dei mulini l' imponibile dell' odiosa tassa sul macinato. Fu introdotta la nuova ricchezza mobile sul modello della income tax inglese: si tassò per la prima volta il reddito prodotto da una persona senza ricorrere ad indizi vari e bizzarri come il numero di finestre o dei caminetti dell' abitazione del contribuente. Fu riformata la tassazione delle rendite finanziarie e di quelle agricole. Alla fine la spesa pubblica sul Pil scese dal 16,7 per cento del 1866 al 13 per cento del 1868 e rimase su questi livelli per l' intero decennio successivo. Bazzecole rispetto ai livelli odierni, ma allora fu un grande successo. Lo stesso dicasi per la pressione fiscale: salì di 4 punti percentuali fino a raggiungere nel 1871 il 10,8 per cento del Pil. 

Rigorista per piglio morale, la Destra era liberoscambista ma immune dal becero antistatalismo: eliminò i dazi fino al punto di danneggiare l' industria meridionale debole e poco avvezza al confronto internazionale. Ma Sella e Minghetti, che avevano il chiodo fisso della buona amministrazione e delle migliorie, non pensavano affatto che l'economia appartenesse solo ai rotagonisti privati. Certo, alla Destra toccò la liquidazione dell' asse ecclesiastico: lo fece senza troppi scrupoli affidandosi ad una struttura ministeriale sebbene Quintino Sella in un primo momento avrebbe voluto addirittura ricorrere ad un pool di banche straniere. Alla prova dei fatti tuttavia la mano pubblica fu determinante: la Destra costruì ferrovie, utilizzando formalmente i privati ma finanziandoli abbondantemente (tant'è che oggi c' è chi dice che il pareggio di bilancio, realizzato al netto delle spese ferroviarie, sarebbe stato un artificio contabile). Alla fine, tra il 1860 e il 1865, furono realizzati 2.100 chilometri di strada ferrata. 

I lavori pubblici segnarono i primi vagiti di quell'Italia: si costruirono enormi opere idriche come il Canale Cavour e il traforo del Fréjus, si avviò il Gottardo. John Maynard Keynes, teorico dell' intervento pubblico in economia, sarebbe nato solo nel 1883. Tuttavia la cura della Destra non bastò a rilanciare l' Italia che ne uscì stremata. Toccò alla Sinistra, di Crispi e Depretis, il compito di farci decollare: nel 1887 arrivò, energica, la tariffa protettiva doganale (dall' acciaio, alla lana, al grano) mentre le imprese navali e ferroviarie venivano abbondantemente favorite dalle ricche commesse pubbliche. A conti fatti il prodotto medio per abitante aumentò del 29 per cento tra il 1861 e il 1910 e buona parte del merito fu della svolta di politica economica della Sinistra e, sulla fine del secolo, del cosiddetto boom giolittiano quando previdenza e assicurazioni cominciarono a dare cittadinanza e diritto di consumare anche alle masse operaie. 

Un centinaio di anni dopo, l' Italia si trovò nuovamente ad una svolta decisiva. Gli Anni Ottanta del Novecento, con il sistema politico bloccato e le perenni coalizioni della Prima Repubblica, avevano sviluppato corruzione e ingigantito il debito pubblico. Fu dal 1992 in poi che i governi di Carlo Azeglio Ciampi, ma anche di Giuliano Amato, Lamberto Dini e Romano Prodi dovettero perseguire la via del rigore e prepararsi ad abbandonare la lira per l' euro, la nuova comune moneta europea. Fu abbattuto il debito pubblico, riformate le pensioni, deindicizzato il sistema, introdotte nuove tasse volte a colpire anche il patrimonio. 

La cura predisposta da questi eredi dell' austerità della Destra storica funzionò. Ma la fase due, quella dello sviluppo, non è stata mai avviata e l' Italia continua a crescere la metà degli altri paesi. Invece di Crispi, Depretis e Giolitti, nel primo decennio di questo secolo, il timone passò all'antistatalismo ribelle e liberista di Berlusconi. I cordoni della borsa sono rimasti serrati, i tagli indiscriminati. Di progetti di sviluppo e di politica industriale non si parla. L' Italia celebra i suoi 150 anni con la triste prospettiva del declino economico. Perché al rigore non è seguito lo sviluppo.  

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