Affidare un ministero a un indagato per reati di mafia è un atto poco responsabile e offensivo verso le istituzioni. Ma affidargli proprio il ministero dell'Agricoltura è qualcosa di peggio. Segna il passaggio dalla mancanza di rispetto all'oltraggio sadico. Perché l'agricoltura è il settore economico dove si sviluppò storicamente la mafia ed è il luogo dove oggi si concentrano i simboli delle speranze dell'antimafia. I campi – la cui estensione era la misura della potenza della mafia latifondista – con la legge sulla confisca dei beni mafiosi sono diventati i luoghi della resistenza e della speranza. Oggi possiamo brindare con vini che si chiamano “Centopassi” prodotti da cooperative agricole che hanno nomi come Peppino Impastato e Pio la Torre.
Provateli se vi capita, hanno un sapore speciale. Sono particolarmente consigliati in questi giorni d'amaro in bocca.
Ma Claudia Fusani oggi ci racconta che la decisione di mandare il “Responsabile” Francesco Saverio Romano a guidare il ministero dell'Agricoltura non è solo l'ennesima prova del disprezzo del premier verso la sensibilità del suo Paese. Non è soltanto una manifestazione di cattivo gusto. Non è un bunga bunga istituzionale. È una scelta demenziale e provocatoria che ha lasciato di stucco quanti – magistrati, poliziotti, carabinieri – oggi sono impegnati nella lotta contro Cosa Nostra.
Benché abbia allargato ad altri settori economici le sue attività criminali (per esempio da anni ha interessi nel settore immobilare nel Nord Italia, a Milano in particolare) Cosa Nostra non ha mai abbandonato il suo antico core business. È passata dal latifondo al controllo dei vari segmenti della complessa filiera. Un capitolo dell'ultima relazione annuale della Direzione nazionale antimafia s'intitola “La criminalità organizzata nel settore agricolo”. Ecco quanto si legge a proposito della capacità di penetrazione mafiosa: «Tutti i passaggi, utili o meno alla creazione del valore, vengono presidiati: ditte di autotrasporto, società di intermediazione commerciale dei prodotti agricoli, quote di consorzi che operano nei mercati all’ingrosso, officine autorizzate alla vendita e riparazione dei macchinari agricoli (ad esempio la Agrimar di Salvo Riina, sequestrata), perfino le falegnamerie che segano le cassette».
Naturalmente ci auguriamo – per noi tutti quasi più che per lui, a essere sinceri – che Francesco Saverio Romano esca immacolato dalle due inchieste che lo riguardano. E siamo certi che quando il consiglio dei ministri dovrà decidere sullo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune del quale lo zio è sindaco, il ministro dell'Agricoltura avrà il buon gusto di restare chiuso nel suo ufficio. Temiamo però che – anche se animato dalle migliori intenzioni – da qui al momento in cui sarà prosciolto (se sarà prosciolto) difficilmente potrà escludere dagli atti della sua amministrazione i settori che hanno suscitato e suscitano gli appetiti della mafia. Perché, a leggere la relazione della Direzione nazionale, sono praticamente tutti. E dunque dobbiamo rassegnarci – per qualche mese almeno – a convivere col sospetto di un nuovo, sbalorditivo, terrificante, conflitto d'interessi.
Ragionando sulla fine del berlusconismo, si sono immaginate tante cose orribili. Ma a questa neanche Nanni Moretti era riuscito ad arrivare. Siamo ben oltre il Caimano.
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