«La maestra ha detto che ci sono i musei aperti stanotte, bisogna andare a vedere. Ha detto che abbiamo tutti 150 anni, anche io». Erano le undici di sera quando il piccolo di casa, che ci aspettava svegli, ci ha accolti al rientro con queste parole. Aveva messo la giacca e il papillon con l'elastico, pronto per uscire. Si sono rivestiti anche gli altri, siamo usciti tutti. A mezzanotte i fuochi d'artificio sul Tevere, gente sotto la pioggia come fosse mattina. All'una, ai musei Capitolini, coda all'ingresso per andare a vedere il Marco Aurelio. Davanti a noi una comitiva di adolescenti. Famiglie coi figli per mano attorno alla Lupa. Folla per le scale, folla in piazza Venezia, folla al Quirinale. Musica dappertutto, bambini ovunque. Coccarde e tricolori. L'Italia è un paese incredibile... È un paese che diresti sull'orlo del collasso e poi all'una di notte – in ogni piazza, in ogni città, nonni e nipoti, in massa – esce dalle case e va a festeggiare che abbiamo tutti 150 anni, tutti, ha detto la maestra anche io. È un paese che si rimette a studiare i nomi dei «giovani e giovanissimi protagonisti di quelle imprese audaci», diceva ieri Napolitano, quei ragazzini di vent'anni che un secolo e mezzo fa hanno fatto l'Italia, che si inalbera di orgoglio patrio sotto il temporale, che sta fuori tutta la notte riempie i teatri e i musei, fischia i leghisti che dicono «soldi buttati, questi per le celebrazioni». E poi fischia La Russa, vendicativo e rancoroso anche nel dispetto. Fischia il Presidente del Consiglio che ormai non può più camminare per strada senza che gli urlino contro e difatti non lo fa, parla sono da Vespa telefona in tv manda videocassette si barrica ad Arcore nel suo bunga bunker, quando proprio gli tocca di passare dal Gianicolo o di visitare una chiesa per obbligo istituzionale gli tocca uscire dal retro, nascondersi, sgattaiolare via da un'uscita secondaria per non farsi notare. Alla folla che lo fischia risponde «non lascio il paese in mano ai comunisti». Patetico, oramai. Fuori luogo ovunque tranne che dove può staccare assegni per la claque.
Fa davvero impressione sentire il ministro Stefania Prestigiacomo dire «è finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in maniera soft». Fa impressione il momento in cui lo dice: solo ora. Non davanti all'apocalisse giapponese, no. Li sono rimasti tutti composti, «andiamo avanti, non cambiamo il nostro programma nucleare, non ci facciamo coinvolgere dall'onda emotiva». Onda emotiva? L'emozione non è forse uno strumento utile all'intelligenza delle cose? Solo l'utilità e il profitto sono un criterio ragionevole? È questa la verità: più della catastrofe hanno potuto i sondaggi. Nessuna reazione finché il problema erano 'solo' quelle tre o quattro centrali lontane, alcune decine di migliaia di contaminati. Peggio per loro, andiamo avanti. Ora però ci sono i sondaggi: eccoli sui tavoli. La popolarità del premier è in picchiata, la richiesta di votare cresce, sul nucleare questa volta il quorum c’è. Perciò, attenzione alle poltrone su cui siamo seduti, colleghi ministri: non facciamo cazzate. Cerchiamo l'uscita soft. Briffiamoci. Prendiamo tempo. Che poi magari ci pensa Gheddafi a scatenare una bella guerra nel Mediterraneo, proprio il diversivo che serve a blindare il governo, nessuno si muova, stai a vedere che ci viene in soccorso il Colonnello.
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