(L'Unità, Concita De Gregorio)
Montecitorio, esterno giorno. L’Italia dentro, l’Italia fuori.
Dentro al Palazzo una maggioranza di governo servile e comprata da un anziano miliardario ricattato da frotte di prostitute e di deputati - assoldati entrambi per tacere o mentire sul suo conto - vota per la seconda volta quel che nessuno al mondo può credere a meno di non certificare che l’Italia sia guidata da un ingenuo allocco incapace di accertare e di distinguere, nella selezione dei suoi ospiti in villa, la discendente di un capo di stato da una prostituta minorenne. Per la seconda volta in poche settimane, cioè, il Parlamento italiano offre al mondo l’indecente spettacolo della sua convinzione che effettivamente la giovane Karima fosse «la nipote di Mubarak». E dunque, afferma il voto del Parlamento, la telefonata di quella notte in questura non è stata abuso di potere (piegare la funzione pubblica a scopi privati) ma un legittimo esercizio di azione diplomatica sullo scacchiere internazionale... Voleva evitare un incidente con l’Egitto, ecco. È dunque per questo che dovrà essere giudicato non da un tribunale ordinario ma dal Tribunale dei ministri. I nomi di coloro che hanno votato sono da segnare e tenere da parte: non hanno il problema evidentemente di rendere conto alle loro coscienze ma non potranno sottrarsi al ridicolo né al giudizio di fronte alla storia.
Fuori dal Palazzo decine di migliaia di cittadini manifestano il loro sconcerto, la vergogna di essere rappresentati dal signore del ricatto, la paura per la tenuta delle istituzioni democratiche sottoposte ogni giorno a bordate di minacce e di menzogne.
È a tutti evidente - a coloro che abbiano la possibilità di informarsi correttamente, almeno - che la cosiddetta riforma della giustizia altro non è che una minaccia indirizzata a chi potrebbe facilmente disinnescarla assicurando a Silvio B. l’impunità. La prescrizione breve serve ad evitargli l’eventualità di una condanna in primo grado al processo Mills, che ne decreterebbe ufficialmente il ruolo di corruttore (essendo stato Mills, ufficialmente, corrotto). Evitare l’aula nel processo Ruby, con infiniti rinvii e cavilli di forma, gli consentirebbe di non dover sfilare davanti alle telecamere riraccontando ciò di cui tutto il mondo sa, per cui ci compiange.
Sono oggi due anni dal terremoto che ha distrutto l’Aquila. Fin da allora dicemmo che nulla si stava facendo per ricostruirla, che le parate e le new town sarebbero state la pietra tombale della città, che un governo non può limitarsi a gestire l’emergenza, che pure è suo dovere: deve progettare il futuro. Oggi le macerie dell’Aquila sono intatte, esattamente come le vedemmo quel disgraziato mattino. Il presidente Napolitano sarà lì, stamani: tra le macerie che sono quelle di una città e di una stagione politica.
Al Senato è stato presentato un disegno di legge costituzionale per l’abolizione della norma transitoria che vieta la «riorganizzazione del disciolto partito fascista». Ad una domanda sull’emergenza immigrazione Umberto Bossi ha di nuovo risposto esponendo il dito medio: «Bisogna chiudere il rubinetto e svuotare la vasca», ha poi aggiunto da idraulico. Subito dopo aver votato sottoscrivendo che sì, quella è proprio la nipote di Ruby la maggioranza si è dissolta, è stata battuta in aula dalle opposizioni su una norma in materia di enti locali. Erano andati via tutti. A chi volete che importi, in questo paese, della sorte dei Comuni. L’importante è tutelare il Faraone. Avanti così, come all’Aquila.
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