BERLUSCONI mente con costante insolenza. È una consuetudine che da sempre sollecita molte attenzioni per afferrarne le ragioni, per così dire, costitutive. Per dirne una. C'è chi vede, in quella coazione a mentire, l'archetipo del Bambino come se alloggiasse nell'inconscio del Cavaliere una personalità che "ragiona" in base al principio di piacere e non al principio di realtà. Lungo questa via è suggestiva l'interpretazione di chi avvista Berlusconi afflitto da "pseudologia phantastica".
«Una forma di isteria caratterizzata dalla particolare capacità di prestar fede alle proprie bugie. Di solito succede - scrive Carl G. Jung - che simili individui abbiano per qualche tempo uno strepitoso successo e che siano perciò socialmente pericolosi». Sono accostamenti utili e intriganti, ma rischiano di annebbiare quel che è semplice e chiaro da tempo: se l'imbroglione è, come si legge nei dizionari, «una persona che ricorre al raggiro come espediente abituale», Berlusconi è innanzitutto un imbroglione.
È un imbroglio, un abituale inganno l'ultimo flusso verbale del capo del governo - che come sempre parla soltanto di se stesso, soltanto del suo prezioso portafoglio, soltanto dei complotti che gli impedirebbero di governare e arricchirsi. Berlusconi manipola fatti, eventi e contingenze della sua storia di imprenditore e di politico per mostrarsi vittima di un'aggressione, nell'una come nell'altra avventura. Deve farlo, il Cavaliere, poverino.
Non solo per una fantasia di potenza adolescenziale (anche per quello), ma (soprattutto) per la consapevole accortezza di dover nascondere il catastrofico fallimento della sua leadership e i sistemi che ne hanno fatto un uomo di successo.
Dice il Cavaliere: «Mi trattano come se fossi Al Capone». Il fatto è che Berlusconi, con Al Capone, condivide il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità, una capacità di immaginazione delirante. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. Berlusconi è tutt'uno con quella storia e senza amnistie, riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato un "delinquente abituale".
Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. La fortuna del premier è il risultato di evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il dominio nell'informazione e il controllo pieno dei "dispositivi della risonanza", sarebbe chiaro a tutti come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.
Deve farlo dimenticare e deve mentire per tenere in vita la mitologia dell'homo faber e il teorema vittimistico. È quel che fa per nascondere il passato e salvare il suo futuro. Confondendo come sempre privato e pubblico, Berlusconi ora denuncia anche un assalto al suo patrimonio, la sola cosa che ha davvero a cuore. Si lamenta: «Contro di me tentano anche un attacco patrimoniale: a Milano c'è un giudice, di cui potrei dire molto, che ha formulato un risarcimento di 750 milioni per la tessera numero 1 del Pd, De Benedetti, per un lodo a cui la Mondadori fu costretta. È una rapina a mano armata».
Si sa come sono andate le cose. La Cassazione dice colpevoli il giudice Vittorio Metta e gli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora (assistono la Fininvest nella guerra di Segrate): hanno barattato la sentenza del 1991 sul cosiddetto "Lodo Mondadori" che, a vantaggio di Berlusconi, ha sottratto illegalmente la proprietà della casa editrice a De Benedetti (editore di questo giornale). Sono i soldi della Fininvest che corrompono il giudice, ma Silvio Berlusconi si salva per una miracolosa prescrizione.
Per il suo alto incarico (nel 2001 è capo del governo) gli vanno riconosciute - sostengono i giudici - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio per le sue pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini che, nel suo interesse, truccarono il gioco. «Corresponsabile della vicenda corruttiva», il Cavaliere con Fininvest deve ora risarcire - come ha deciso la Cassazione - i danni morali e patrimoniali quantificati in primo grado in 750 milioni di euro. Troppo o troppo poco, lo dirà il giudice dell'appello che deciderà degli interessi di due privati e non, come vuole far credere l'Imbroglione, di due fazioni politiche.
È altro quel che qui conta ripetere, una volta di più semmai ce ne fosse bisogno. Come dimostra il tentativo di gettare nel calderone delle polemiche anche un suo affare privato, dietro la guerra scatenata dal capo del governo contro la magistratura ci sono soltanto gli interessi personali del premier. Null'altro. Riforma costituzionale, riforma della giustizia, asservimento del pubblico ministero al potere politico, che oggi paralizzano la vita pubblica del Paese, sono soltanto gli espedienti ricattatori di Berlusconi per ottenere un salvacondotto che lo liberi dal suo passato illegale, da una storia fabbricata, oggi come ieri, con l'imbroglio.
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