venerdì 1 aprile 2011

IL MOMENTO E' ADESSO

(di Conchita De Gregorio, L'Unità)

Di fronte allo spettacolo barbarico offerto ieri, di nuovo, a Montecitorio ci si domanda - dentro al Palazzo e moltissimo fuori - come uscirne. Cioè, per una volta la discussione preoccupata e tesa non verte su di chi sia stata la colpa se nel ‘94 accadde questo e nel 2002 quest’altro, su che cosa si sarebbe dovuto fare dieci anni fa e di chi sia stata la colpa, di chi il peccato originale ma ci si chiede, mi pare per la prima volta con uno spirito nuovo, che cosa ci sia da fare ADESSO. Di fronte all’evidente provocazione del ministro La Russa che, l’altro ieri, non resiste alla tentazione di andare a sbeffeggiare i manifestanti suscitando infine reazioni a catena fino al suo stesso vaffanculo a Fini e dunque la sospensione della seduta, per il Pdl un vero boomerang. Di fronte al ministro Alfano che tira la sua tessera per la votazione come se fosse un frisbee addosso a un deputato Pd, alle palle di carte che volano e sibilano affianco alla testa di Fini, alle urla e allo sgomento, al nervosismo e alla paura del partito del presidente e suoi recenti acquisti, di fronte al pallore della Lega a cui non servono più i gestacci e le contumelie in dialetto a tener buoni gli elettori trascinati nel peggior gorgo di ‘Roma ladrona’, la stessa Lega dai cui banchi parlamentari parte un insulto vile contro Ileana Argentin...

La maggioranza del non-governo è in preda a una crisi di nervi, stretta nell’imbuto dei processi del premier e delle leggi che servono a salvarlo, ricattata dalle escort e dai cosiddetti responsabili, ridicolizzata agli occhi del mondo da una politica estera indegna di questo nome, la quale difatti ci ha procurato l’esclusione da ogni tavolo internazionale. Alle prese, infine, con la gestione di un processo storico ineludibile - l’ondata migratoria dal nordafrica delle popolazioni in fuga da miseria tirannia e guerra - che certamente le pagliacciate tipo faccio di Lampedusa la nuova Portofino, ci metto un bel Casinò, la candido al Nobel per la Pace non possono dirottare altrove, men che mai evitare. Che fare adesso, dunque. Mentre dal popolo della sinistra si levano, in piazza e in rete, le proposte di dimissioni in massa, Aventino, di gesti clamorosi adatti a segnalare l’eccezionale gravità del momento ed eventualmente a trasformarlo - dentro le istituzioni, prima che i fuochi di piazza prendano il sopravvento con conseguenze imprevedibili - da un epilogo in un principio ecco che il presidente della Repubblica inizia una “ricognizione” tra i gruppi parlamentari. 

Ricognizione è una parola che ha un significato letterale ed un altro, ben più forte, simbolico. Letteralmente si tratta di osservare, ascoltare, capire. Di attingere dai diretti interessati le informazioni su quel che sta accadendo e sulle prospettive eventuali per il recupero di una parvenza di ordine e normalità nello svolgimento dell’attività democratica. Sull’altro piano, simbolico, la ricognizione è il segnale di una valutazione politica di gravissimo allarme. È la misura - alta - della preoccupazione del capo dello Stato. È insieme un ultimatum alle forze politiche di maggioranza e il primo passo di un itinerario che potrebbe avere come esito lo scioglimento delle Camere. A questo siamo. A questo non si era mai arrivati prima. Da questo punto bisogna ora misurare le forze in campo e le strategie, possibilmente accantonando la schermaglia interna tutta rivolta a fare i conti col passato: un banco di prova per le opposizioni, chiamate a dare una risposta ‘ora’ su cosa fare ‘domani’ per preparare il futuro.

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