Non è servito a niente, come era prevedibile, aspettare che passasse il fatidico 14 dicembre, giorno della fiducia a Berlusconi. “Il clima politico surriscaldato”, per usare le parole del presidente della Consulta, Ugo De Siervo, è sempre rovente, e così gli alti giudici che l’11 gennaio discuteranno sul legittimo impedimento “ad premier e ministri”, continuano a ricevere messaggi sulla “delicatezza della decisione per le sorti della legislatura e del Paese”. I membri della Corte hanno anche ricevuto una lettera da parte di un collega, che è musica per le orecchie del Cavaliere.
La missiva, che caldeggia la costituzionalità dell’ultima norma ad personam, approvata per bloccare i processi di Berlusconi, è a firma di Luigi Mazzella. Quel Mazzella che a pochi mesi dalla decisione sul lodo Alfano, nel maggio 2009, invitò a cena nel suo appartamento romano, tra gli altri, il presidente del Consiglio, il ministro Alfano e il giudice Paolo Maria Napolitano, anche lui componente della Consulta. La posizione di Mazzella non è isolata. Qualcun altro della Corte vorrebbe la conferma del legittimo impedimento, facendo leva sulla temporalità di una norma che scade a ottobre 2011. C’è però chi pensa che la legge non sia incostituzionale solo se interpretata in un determinato modo, lontano da quello degli avvocati del premier, Ghedini e Longo o dell’Avvocatura dello Stato.
Se dovesse prevalere questo orientamento ci troveremmo di fronte a una sentenza interpretativa di rigetto. In parole semplici la Corte respingerebbe i ricorsi dei giudici milanesi dei processi Mediaset, Mills e Mediatrade secondo i quali la legge è incostituzionale, ma allo stesso tempo fisserebbe i paletti: nessun automatismo del legittimo impedimento dietro un certificato del segretario generale di Palazzo Chigi, fino a 6 mesi consecutivi. Deve invece esserci la discrezionalità del giudice, tenendo presente anche un pronunciamento già espresso dalla Consulta ai tempi dei processi a carico di Cesare Previti. Nel “sindacare” sul legittimo impedimento di un esponente politico, il giudice deve conciliare l’agenda degli impegni istituzionali con le esigenze del processo.
Un’interpretazione simile l’ha proposta il 14 aprile scorso il “ pm famigerato”, come l’ha chiamato Berlusconi, Fabio De Pasquale, nell’udienza in cui i giudici del processo Mediaset hanno deciso di rivolgersi alla Consulta. “Possono due paginette scritte da un funzionario bloccare la funzione giurisdizionale? No”, si era chiesto e risposto il magistrato. Alla Consulta, tra i sostenitori di questa interpretazione del legittimo impedimento ad hoc, c’è chi pensa che una sentenza del genere rispetterebbe la Costituzione e allo stesso tempo non offrirebbe il destro a Berlusconi (con sollievo del Quirinale) per dire nuovamente che la Corte è piena di comunisti. Ma il premier ha già detto che una bocciatura della legge sarebbe “indecente”.
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