(di Conchita De Gregorio) -
Ieri, mentre il dibattito politico si arroventava sui temi delle alleanze - all’opposizione - e della compravendita di nuovi parlamentari - al governo - mi sono capitate un paio di cose. Ho ascoltato De Rita, presidente del Censis, descrivere insieme a Stefanini, presidente Unipol, un comune progetto di lavoro sul tema dell’assistenza agli anziani nei prossimi trent’anni. Non capita spesso di ascoltare qualcuno che si preoccupi di cosa ci accadrà fra venti o trent’anni. In generale si parla tutt’al più dei prossimi sei mesi. Invece vent’anni sono fra un attimo, dunque ascoltate: nel 2030 le persone ultraottantenni saranno cinque milioni e mezzo, il 54% in più rispetto ad oggi...
Nel 2040 saranno quasi 7 milioni gli anziani non autosufficienti. Stiamo parlando di noi: i nostri genitori, e noi. Non esiste progetto politico che si occupi di come faremo a mantenere in condizioni dignitose i nostri genitori novantenni, noi sessanta-settantenni e insieme i nostri figli quarantenni... i quali salvo fortunatissimi casi continueranno a dipendere dalle risorse familiari. De Rita dice che è venuto il momento di riprendersi la delega del welfare. Che lo Stato non c’è già più, per i nuovi bisogni, meno ancora ci sarà più avanti. Che dobbiamo pensarci noi, intanto e per tempo: la politica seguirà. Noi che abbiamo la doppia responsabilità di occuparci dei padri che invecchiano senza assistenza e dei figli che crescono senza certezze. Da questo, anche da questo, dipende la rabbia dei giovani e la desolazione dei vecchi: non hanno gli strumenti materiali per rendersi autonomi.
Mi è poi capitato di rispondere alla domanda del giornalista di un grande giornale popolare. Mi ha detto ma lei è sicura che la gente capisca cosa significa emergenza democratica? Non crede che le persone pensino alla loro privata emergenza? Sì, lo credo. E credo che dovremmo trovare molto in fretta le parole per spiegare che quella che nel circolo ristretto degli addetti ai lavori chiamiano emergenza democratica nel linguaggio comune significa garanzia di legalità, diritti e doveri uguali per tutti, dunque rispetto e giustizia, dunque salute, casa, scuola, lavoro, dignità delle persone e basta con la corruzione e il ricatto. Uscire dall’egoismo, ritrovare le regioni della vita in comune. Questa, anche questa è l’emergenza democratica.
Avrete visto in tanti il ministro La Russa gridare in tv. Avete letto su questo giornale il capo della polizia Manganelli denunciare come la politica stia affidando alle forze dell’ordine - sempre meno pagate - un ruolo di supplenza. Bisogna credere a quello che si vede. In piazza abbiamo visto professionisti della violenza a volto coperto, non sappiamo chi fossero né ispirati da chi. Crediamo che Manganelli e i suoi uomini abbiano, come lui dice, evitato il peggio. Crediamo anche che il ministro La Russa non sia affatto un pacificatore. Mostrare il disordine giova, da sempre, a chi vuole imporre l’ordine. A volte lo provoca, altre volte non lo evita. Sappiamo che il disagio di chi manifesta è giusto, che in casi anche molto recenti l’ordine è stato mantenuto, che i violenti organizzati sono quasi sempre noti. Se è andata come è andata ci sono delle responsabilità, forse dei mandanti. E’ un’indagine che se ben condotta potrebbe riservare sorprese. Magari gli incappucciati non erano né studenti né poliziotti. Magari qualcuno sa chi erano. Magari urlare serve, come al solito, a distogliere l’attenzione da qui.
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