PER FIRMARE CLICCA: MANDIAMO A CASA BERLUSCONI
Editoriale di Concita De Gregorio, Direttore de L'Unità
Qualche lettore mi chiede che senso abbia raccogliere firme per mandare a casa il signor B., a proposito della nostra campagna “Sfiduciamolo noi” che corre sul web. Mi chiede, in particolare, se non mi sembri inutile raccogliere cinquanta o anche cento o persino duecentomila firme quando poi, dice, “sono sempre le stesse e non bastano certo cento o duecentomila firme: quello che contano sono i voti in Parlamento e quelli di chi ha delegato i parlamentari: i milioni di voti nelle urne”...
E’ un bellissimo argomento, questo della delega. E’ proprio questo il punto: riprendersi, anche solo per un istante, la delega. Avere la forza interna di sentire e di agire, la consapevolezza che siamo noi a decidere, noi personalmente, noi attivamente: noi non solo quando affidiamo il compito a qualcun altro - noi quando votiamo - salvo poi perennemente criticare, quasi sempre giustamente ma spesso con un filo di enfasi - quella di chi guarda da casa. Ci sono momenti, e questo è uno, in cui non si tratta di strategie politiche, di valutare chi sia la persona della provvidenza (dico persona ma dovrei dire uomo: ci solo uomini, come vedete, in campo) a cui affidarsi per il riscatto. Se sia Bersani o Vendola, Renzi o Di Pietro, Casini o Fini, Letta o Tremonti persino può pensare qualcuno, o lo stesso Berlusconi imbalsamato fino all’eternità. Ci sono momenti in cui il gesto politico più importante da fare è interno, uno scatto di consapevolezza, un colpo di reni della coscienza: non c’è un uomo della provvidenza, ci siamo noi. Siamo noi a determinare il destino del paese, il resto verrà: i calcoli dopo. Qualcuno ha scritto che non è un buon programma quello di chi dice: tutto tranne Berlusconi. Non è un programma politico, certo che no. E’ un impeto morale, è una ribellione intima, è un basta così che viene dall’esaurirsi dell’ultimo rivolo di decenza e di speranza che qualcosa possa andare, domani, un po’ meglio. Poi tutto no: tutto non va bene. Al contrario: saremo severissimi e molto esigenti nel passare al vaglio cosa ci somigli e ci piaccia, cosa ci serva nell’interesse di tutti. Quello sarà il momento della delega, perchè certo non possiamo governare noi. Ma adesso è prima. Adesso è il momento di far sentire la voce, farla sentire soprattutto a noi stessi guardandoci allo specchio e se saremo dieci cento o centomila non è molto importante. Saremo milioni, se ciascuno saprà dirsi che dipende da lui, non ci sono storie, dipende dalla forza di ognuno di noi. Se il Paese è immobile, paralizzato dall’agonia di un’era che non lascia vedere il futuro possibile, chi volete che lo muova se non i cittadini che lo abitano? A chi volete delegare questo compito? Chi pensate possa farlo al nostro posto?
Le cronache sono spente, raccontano di una luce sempre più flebile. Cresce il prezzo della benzina, andiamo verso un Natale in bianco. Gli studenti sono ancora in piazza, però, i lavoratori ancora sulle gru a tre anni dalla Thyssen, i musei occupati dai loro impiegati, i luoghi di cultura - le fiere dei libri - assediate da migliaia e migliaia di persone senza soldi in tasca ma piene di tutto quello che manca. Se cambierà, l’Italia, la cambieranno loro. La cambieremo noi. Anche con una firma, certo, perché non c’è niente che valga più del proprio nome e cognome, della propria identità, del senso dell’essere al mondo.
6 dicembre 2010
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