L'improbabile ministra Gelmini si è molto turbata vedendo gli studenti sfilare in corteo coi lavoratori e i pensionati. Per noi invece è stato un gran piacere, la conferma che ci si può battere insieme, genitori e figli, docenti e studenti, artisti e operai, lavoratori dell'industria e della conoscenza, per un futuro migliore.
Hanno tentato in ogni modo di gettar fango sulla mobilitazione studentesca ma non ci sono riusciti. I tetti delle facoltà e i monumenti delle città d'arte su cui sono saliti docenti, ricercatori e studenti in rivolta contro il ddl Gelmini sono diventati i luoghi simbolo della resistenza di una generazione che non ci sta più a farsi prendere in giro e a subire passivamente il furto del proprio futuro...
Negli ultimi anni le tasse universitarie sono raddoppiate e l'efficienza dei servizi è diminuita. La nostra università vive una condizione di umiliante degrado, senza soldi e senza strategie. Certo, ci sarebbero molti buoni motivi per riformarla: ridurre la frammentazione dei corsi di laurea, offrire agli studenti spazi e strumenti di studio adeguati, premiare la qualità didattica e la ricerca, favorire carriere accademiche trasparenti, legate al merito e non condizionate da clientele e baronie.
Ma la riforma Gelmini va in tutt'altra direzione. Non è la prima volta che questo governo spaccia provvedimenti vuoti per grandi riforme, ma stavolta si passa il segno della decenza. Dicono di volere la meritocrazia ma cancellano i concorsi e tagliano le risorse da destinare in base al merito. Dicono di voler evitare la fuga di cervelli ma rendono sempre più precaria la vita dei nostri ricercatori. Tagliano le borse di studio, i servizi, gli alloggi e ogni intervento per il diritto allo studio. Sarà più difficile studiare per chi non ha famiglie facoltose.
Mentre altri paesi, come Germania e Francia, di fronte alla crisi scelgono di investire su scuola università e ricerca, il governo italiano affronta un tema così cruciale con arroganza e faciloneria, mostrando il suo disprezzo per la cultura.
Siamo alla morte dell'università e della ricerca pubblica in Italia. Incurante delle proteste, la Camera ha approvato oggi il disegno di legge più impopolare della storia dell'università italiana. Ma la mobilitazione non si fermerà, troverà altre forme per esprimersi, stringerà nuove alleanze, perché la cultura è un bene di tutti e difenderla deve essere un impegno di tutti. Mandare a casa questo governo è il primo passo da fare
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