mercoledì 2 febbraio 2011

IL FUTURO E' GIA' QUI - LE RIVOLUZIONI VIAGGIANO SU INTERNET

Dalla Tunisia all'Egitto, nascono le Social NetWardi



Con un semplice gioco di parole, si potrebbero ribattezzare quelle di questi giorni in Medio Oriente come delle vere e proprie Social NetWar, rivoluzioni cioè in cui i social network vengono usati come piccole macchine da guerra. 

L'Egitto ne è il caso più recente, ma non è certo l'unico. Facebook, Twitter, Youtube, Flickr e altre piattaforme di condivisione di informazioni sono state fondamentali anche per i movimenti di protesta in Iran, la cacciata di Ben Ali in Tunisia e si stanno rilevando alla base anche dei malumori in Yemen. 

Per non parlare del loro ruolo in Russia, in Cina e a Cuba, dove il potere cerca con ogni evidenza di ostacolarne l'utilizzo. Un metro di misura della loro importanza lo danno l'impegno del segretario di stato americano Hillary Clinton a favore della loro diffusione in tutto il mondo e le parole di Barack Obama pronunciate subito dopo che il governo egiziano rendesse inaccessibili Facebook e Twitter. «Mi appello affinché il governo di Mubarak inverta le azioni di inferenza su Internet, servizi cellulare e social network – ha dichiarato il presidente – è il ventunesimo secolo, non potete staccargli la spina»... SEGUE

L'appello finora è rimasto inascoltato, Internet nella terra dei faraoni è ancora pieno dei buchi neri della censura, ma gli attivisti stanno facendo di tutto per aggirare il controllo voluto dal governo. Aiutati anche da gruppi di hacker stranieri come gli Anonymous, che già da tempo si sono fatti conoscere nelle loro battaglie in difesa di Wikileaks. «Offrite libero accesso ai mass media nel vostro paese, senza censura – scrivono gli “anonimi” agli uomini di Mubarak -. Se ignorate questo messaggio, non soltanto attaccheremo il sito web del vostro governo ma faremo in modo che i mass media internazionali sappiano la verità e vedano ciò che imponete al vostro popolo».

Il collettivo qualche settimana fa si era mobilitato in difesa degli internauti-ribelli tunisini, bloccando i siti del governo e permettendo loro di continuare a usare la rete per organizzarsi e raccontare la loro protesta. La cacciata di Ben Ali fu raccontata da 196 mila tweets, mentre sono stati 103.000 i tweets contenenti l’hashatag #sidibouzid – dal nome della provincia tunisina Sidi Bou Zid in cui è iniziata la rivolta. In Egitto come in Tunisia, in Iran come nello Yemen – e in misura minore in Russia, Cina e Cuba, dove il controllo dei governi sulla rete è ancora fortissimo – il dissenso e la rivoluzione parlano la lingua sintetica di Twitter, si rispecchiano nelle immagini a bassa definizione di Youtube e si scambiano speranze e paure grazie alle bacheche di Facebook.              

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