IN ITALIA INFURIA IL BUNGA BUNGA E I PROBLEMI DI BERLUSCONI CON LA GIUSTIZIA BLOCCANO IL PAESE.INTANTO, NEI PAESI ARABI SCOPPIA LA RIVOLTA:     Egitto, appello dell'opposizione:  "Martedì un milione in piazza"
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| Mubarak | 
Intanto al Cairo cresce il peso dei  Fratelli Musulmani. Finora sono stati esclusi dalla vita politica e  costretti ad agire sul terreno del welfar. Si oppongono alla  secolarizzazione della società e propugnano il rispetto della Sharia ...segue 
Passando  la mano all'esercito, Mubarak puntava a presentarsi agli Stati Uniti  come l'unico elemento di continuità possibile in una transizione che può  divenire tellurica.
Lo spettro è sempre quello dell'islam  politico: un fantasma che ha garantito l'appoggio americano al raìs ben  prima dell'11 settembre. Dopo il 1981 l'Egitto ha assunto il ruolo di  attore del contenimento islamista attraverso un modello  inclusione-repressione fondato sull'interdizione dalla scena politica  dei Fratelli Musulmani e il pugno di ferro nei confronti dei radicali  che contestavano, oltre che il "regime empio", la scelta gradualista  della Fratellanza. Una mossa che impediva agli islamisti di fare  politica ma consentiva loro di agire nel sociale, sul terreno  dell'educazione e del welfare religioso. Almeno sino a quando, per  effetto di questa stessa azione di reislamizzazione dal basso, il loro  peso politico cresceva.
In molte cancellerie occidentali, ma  anche nei meandri del potere mediorientale, i maggiori timori riguardano  oggi proprio la Fratellanza, associazione religiosa ma anche partito  politico di massa, unica forza organizzata e diffusa territorialmente  nel panorama egiziano, guidata da una dirigenza in cui sono assai influenti gli esponenti di quella borghesia  religiosa che da anni controlla gli ordini professionali di medici,  avvocati, ingegneri. Disposta a un'alleanza con i partiti laici e di  sinistra che chieda elezioni libere, sfociata negli anni scorsi nel  cartello di opposizione Kifaya.
Ma i Fratelli non sono il perno  di una rivolta che, pure dopo il precedente tunisino, ha sorpreso anche i  loro leader. A dimostrazione della loro capacità tattica, ma anche  della consapevolezza di non essere all'origine della protesta, essi  danno ora la loro investitura, come leader provvisorio dell'opposizione  incaricato di negoziare il processo di transizione, a El Baradei
La  rivolta in riva al Nilo, come quella dei "gelsomini", è figlia della  bomba demografica, della diffusione dell'istruzione, della potenza  comunicativa della Rete e di tv come Al Jazeera, che non a caso il  vecchio e il nuovo governo egiziano hanno, con diverso successo, voluto  "spegnere". Una protesta esplosa tra i giovani disoccupati, che chiedono  lavoro, libertà e dignità, più che lo Stato islamico. Giovani che  preferiscono i social network ai discorsi di Hassan al-Banna, lo storico  fondatore dei Fratelli; e che bussano all'ingresso, negato, della  modernità anziché al portone della moschea. 
Come già nella  rivolta tunisina, e prima ancora in quella, fallita, iraniana, quello  che colpisce è lo "spontaneismo" che ha reso la protesta tanto più forte  quanto inattesa in Stati di polizia che si sono rivelati ciechi. Ma in  questa spontaneità è insito un limite. Se le vecchie opposizioni non  hanno compreso che il vulcano stava per eruttare, rivelando scarsa  sintonia con giovani che non sanno che farsene di antiche ricette  politiche e ideologiche, le nuove generazioni non possono ancora  esprimere un ruolo dirigente. Rovesciano ma non sanno ancora cosa  costruire. La stessa cosa potrebbe accadere in Tunisia, dove da un lungo  esilio è rientrato Rachid Gannouchi, il fondatore di "An Nahda",  formazione di antica filiera della Fratellanza, che oggi guarda all'Akp  turco come riferimento ideale.
Un test difficile anche per gli  Usa, quello del ruolo dei partiti islamisti neotradizionalisti, con i  quali in questi ultimi anni non hanno affatto disdegnato i contatti:  evitando così di confonderli con i radicali di Al Qaeda che li  combattono accusandoli di essere una sorta di "revisionisti islamici".  Ai tempi dell'esportazione manu militari della democrazia,  l'amministrazione Bush non pensava, come ritenevano illusoriamente  alcuni neocon, che a smobilitare dovessero essere anche i leader di  Egitto o Arabia Saudita. Oggi, in un'eterogenesi dei fini che ha il  sapore di una profetica nemesi, quella possibilità si fa concreta:  almeno all'ombra delle Piramidi. Ma democrazia significa libera  competizione per tutti; anche per i potenziali nemici della democrazia.  Se, in nome della realpolitik e della tutela a oltranza di equilibri  geopolitici i processi di democratizzazione fossero ibernati, il futuro  sarebbe ancora più problematico dell'incerto e convulso presente. Dopo  un primo riflesso condizionato, la Casa Bianca lo ha capito e Obama ha  ribadito le sue ispirazioni originarie: mai contro i popoli che invocano  la fine di regimi autoritari. La sfida è difficile, ma l'alternativa è  l'esplodere per contagio di nuove rivolte inevitabilmente  antiamericane. 

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