martedì 11 gennaio 2011

Pci, quel «partitone rosso» che ci aiutò a sentirci una nazione

Il Pci nella storia d’Italia. Qualcuno vorrebbe espellere il primo dalla seconda. Ein primis la destra più dura che è andata al governo tre volte in questi venti anni. Poi la storiografia revisionista e neodefeliciana più intransigente, come nel caso del «terzista » Galli della Loggia che in materia di Pci non fa mostra di «terzietà»: una zavorra per l’Italia che bloccò la sua modernità. Punto. 

E invece, proprio nell’anniversario del Congresso di Livorno (tra il 15 e il 21 gennaio 1921) arriva adesso una grande mostra a Roma, costellata di altre iniziative in corso d’anno, che intende rimettere a posto i fondamentali della memoria. Per registrare il peso e l’incidenza di una vicenda collettiva, esaurita ufficialmente il 4 febbraio 1991(con la nascita del Pds a Rimini) ma inseparabile dall’identità civile stessa del nostro stato-nazione, di cui sempre quest’anno si celebrano i 150 anni. E allora vi raccontiamo in anteprima la mostra, a cura della Fondazione Istituto Gramsci e del Centro Studi di Politica Economica (Cespe) che aprirà i battenti il 14 all’Acquario Romano, Casa dell’Architettura Piazza Manfredo Fanti 47(conferenza stampa alle 11 del 12) e che si intitola appunto: «Avanti Popolo. Il Pci nella storia d’Italia»)....

Intanto la mostra è un ipertesto, un percorso multimediale. Allestito in loco lungo sei stazioni cronologiche inclusive di sei periodi chiave dela storia Pci, intrecciata a quella italiana. Ciascuna stazione, unita alle altre da una pista in plexigas a immagini, si vale di un certo numero di bacheche( sei serie di teche). Con dentro materiale documentario originale, fatto di lettere autografe, volumi, giornali, e sempre riferito al periodo in questione. Poi, per ogni stazione, due schermi «touchscreen» consentiranno, valendosi di 36 parole chiave, di accedere al merito e ai dettagli della storia narrata, tra rimandi circolari e cortocircuiti audiovisivi.

A parte, novità assoluta, l’esposizione degli originali manoscritti dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (31, a parte i due intonsi non in mostra), vero e proprio «Graal» teorico del Pci, anima pulsante di idee che ne fece quel che fu (benché la loro ricchezza sia ancora una miniera inesauribile e funzionante). Al piano superiore dell’«Acquario» ci sarà una sezione sulla satira, con le provocazioni di Altan e Staino, inseparabili dal vissuto del «partitone rosso», che sapeva ridere di sé stesso e scommetteva sulla satira (su di sé oltre che sull’avversario). 

Altre cose in mostra. Il manoscritto gramsciano sulla Questione meridinale del 1926. Messaggi radiotrasmessi e autografi di Togliatti, lettere di Badoglio a Togliatti, lettera di Togliatti a Sraffa del 1937, con richiesta di istruzioni per la prima pubblicazione dei Quaderni. Una scelta delle edizioni e pubblicazioni gramsciane all’estero. Tutte le tessere Pc. d’I. e Pci dal1921 al 1991. Fotoromanzi degli anni 50per incitare al voto gli emigranti (precoce intuizione «mid-cult» del valore mediatico dell’immaginario di massa). Un Dvd con testimonianze e interviste a far da filo conduttore. Persino, si va in ordine sparso, un servizio da caffé del Migliore. Un ciclostile paracadutato dagli Alleati, per stampare l’Unità clandestina, matrice eroica di tante copie segrete dell’Unità ricopiate pazientemente a mano. Il tutto ovviamente è disposto non a caso e con rigore, dauncomitato scientifico di storici men giovani e più giovani(Giuseppe Vacca, Silvio Pons, Francesco Giasi, Ermanno Taviani, Luisa Righi, Emanuele Bernardi, Gian Luca Fiocchi). E da un architetto, Alessandro d’Onofrio che ha lavorato al Maxxi con la Zadid. 

Vediamo alcuni dei concetti chiave che informano la mostra. Prima di tutto, visualmente per così dire, c’è l’intento di mettere in luce la capillarità di un radicamento dentro la società civile, a costruirla e orientarla. Facendo leva sul simbolico, sui media di allora, sul folklore, sulla cultura alta e bassa, e sulle istituzioni minute del quotidiano. Secondo l’indicazione gramsciana, volta a prefigurare già dentro la società civile la futura società autoregolata: non in chiave classista e chiusa, ma con un «blocco storico» di ceti progressivi attorno agli operai. Fu anche in virtù di ciò, oltre alle fondamentali innovazioni strategiche togliattiane, che il Pci «fece Italia», Costituzione democratica, cittadinanza. E pedagogia aperta all’internazionalizzazione della cultura (altro che zdanovismo in quell’Italia censoria e bacchettona!). Etuttavia la mostra nonè autocelebrativa. Perché l’altro suo aspetto è la «dilemmaticità» del Pci partito «anfibio»: nazionale e transnazionale con riferimento all’Urss, fino e oltre il 1956. «Doppia lealtà», nella quale il Pci scavò, alla ricerca di una sua via, oltre la tenaglia dei blocchi contrapposti, e per schiudere un varconé leninista né socialdemocratico (con il torto di aver sottovalutato le possibilità dinamiche di quest’ultimo approdo). Come che sia, fu così che il Pci, scuola di massa per le classi subalterne, divenne l’erede del Risorgimento democratico. Come per altro verso la Dc. Ed è per questo che gli va reso onore, perchè senza quel Pci, oggi saremmo ancor meno una nazione.
11 gennaio 2011

Nessun commento:

Posta un commento