Il Pci nella storia  d’Italia. Qualcuno vorrebbe espellere il primo dalla seconda. Ein primis  la destra più dura che è andata al governo tre volte in questi venti  anni. Poi la storiografia revisionista e neodefeliciana più  intransigente, come nel caso del «terzista » Galli della Loggia che in  materia di Pci non fa mostra di «terzietà»: una zavorra per l’Italia che  bloccò la sua modernità. Punto. 
E invece, proprio nell’anniversario del Congresso di Livorno (tra il 15 e  il 21 gennaio 1921) arriva adesso una grande mostra a Roma, costellata  di altre iniziative in corso d’anno, che intende rimettere a posto i  fondamentali della memoria. Per registrare il peso e l’incidenza di una  vicenda collettiva, esaurita ufficialmente il 4 febbraio 1991(con la  nascita del Pds a Rimini) ma inseparabile dall’identità civile stessa  del nostro stato-nazione, di cui sempre quest’anno si celebrano i 150  anni. E allora vi raccontiamo in anteprima la mostra, a cura della  Fondazione Istituto Gramsci e del Centro Studi di Politica Economica  (Cespe) che aprirà i battenti il 14 all’Acquario Romano, Casa  dell’Architettura Piazza Manfredo Fanti 47(conferenza stampa alle 11 del  12) e che si intitola appunto: «Avanti Popolo. Il Pci nella storia  d’Italia»)....
Intanto la mostra è un ipertesto, un percorso multimediale. Allestito in  loco lungo sei stazioni cronologiche inclusive di sei periodi chiave  dela storia Pci, intrecciata a quella italiana. Ciascuna stazione, unita  alle altre da una pista in plexigas a immagini, si vale di un certo  numero di bacheche( sei serie di teche). Con dentro materiale  documentario originale, fatto di lettere autografe, volumi, giornali, e  sempre riferito al periodo in questione. Poi, per ogni stazione, due  schermi «touchscreen» consentiranno, valendosi di 36 parole chiave, di  accedere al merito e ai dettagli della storia narrata, tra rimandi  circolari e cortocircuiti audiovisivi.
A parte, novità assoluta, l’esposizione degli originali manoscritti dei  Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (31, a parte i due intonsi non  in mostra), vero e proprio «Graal» teorico del Pci, anima pulsante di  idee che ne fece quel che fu (benché la loro ricchezza sia ancora una  miniera inesauribile e funzionante). Al piano superiore dell’«Acquario»  ci sarà una sezione sulla satira, con le provocazioni di Altan e Staino,  inseparabili dal vissuto del «partitone rosso», che sapeva ridere di sé  stesso e scommetteva sulla satira (su di sé oltre che sull’avversario). 
Altre cose in mostra. Il manoscritto gramsciano sulla Questione  meridinale del 1926. Messaggi radiotrasmessi e autografi di Togliatti,  lettere di Badoglio a Togliatti, lettera di Togliatti a Sraffa del 1937,  con richiesta di istruzioni per la prima pubblicazione dei Quaderni.  Una scelta delle edizioni e pubblicazioni gramsciane all’estero. Tutte  le tessere Pc. d’I. e Pci dal1921 al 1991. Fotoromanzi degli anni 50per  incitare al voto gli emigranti (precoce intuizione «mid-cult» del valore  mediatico dell’immaginario di massa). Un Dvd con testimonianze e  interviste a far da filo conduttore. Persino, si va in ordine sparso, un  servizio da caffé del Migliore. Un ciclostile paracadutato dagli  Alleati, per stampare l’Unità clandestina, matrice eroica di  tante copie segrete dell’Unità ricopiate pazientemente a mano. Il tutto  ovviamente è disposto non a caso e con rigore, dauncomitato scientifico  di storici men giovani e più giovani(Giuseppe Vacca, Silvio Pons,  Francesco Giasi, Ermanno Taviani, Luisa Righi, Emanuele Bernardi, Gian  Luca Fiocchi). E da un architetto, Alessandro d’Onofrio che ha lavorato  al Maxxi con la Zadid. 
Vediamo alcuni dei concetti chiave che informano la mostra. Prima di  tutto, visualmente per così dire, c’è l’intento di mettere in luce la  capillarità di un radicamento dentro la società civile, a costruirla e  orientarla. Facendo leva sul simbolico, sui media di allora, sul  folklore, sulla cultura alta e bassa, e sulle istituzioni minute del  quotidiano. Secondo l’indicazione gramsciana, volta a prefigurare già  dentro la società civile la futura società autoregolata: non in chiave  classista e chiusa, ma con un «blocco storico» di ceti progressivi  attorno agli operai. Fu anche in virtù di ciò, oltre alle fondamentali  innovazioni strategiche togliattiane, che il Pci «fece Italia»,  Costituzione democratica, cittadinanza. E pedagogia aperta  all’internazionalizzazione della cultura (altro che zdanovismo in  quell’Italia censoria e bacchettona!). Etuttavia la mostra nonè  autocelebrativa. Perché l’altro suo aspetto è la «dilemmaticità» del Pci  partito «anfibio»: nazionale e transnazionale con riferimento all’Urss,  fino e oltre il 1956. «Doppia lealtà», nella quale il Pci scavò, alla  ricerca di una sua via, oltre la tenaglia dei blocchi contrapposti, e  per schiudere un varconé leninista né socialdemocratico (con il torto di  aver sottovalutato le possibilità dinamiche di quest’ultimo approdo).  Come che sia, fu così che il Pci, scuola di massa per le classi  subalterne, divenne l’erede del Risorgimento democratico. Come per altro  verso la Dc. Ed è per questo che gli va reso onore, perchè senza quel  Pci, oggi saremmo ancor meno una nazione.
  11 gennaio 2011

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