di CURZIO MALTESE
Siamo alle comiche finali, come direbbe il suo ex capo, Gianfranco Fini. L'ultima trovata di Gianni Alemanno, sindaco per caso della capitale, sarebbe quella di chiamare come vice Guido Bertolaso, il Capitan Terremoto appena pensionato dalla Protezione civile.
Un colpo di teatro che dovrebbe risollevare l'immagine dell'amministrazione capitolina, in caduta libera. Il sondaggio annuale del Sole 24 Ore indica Alemanno fra i sindaci meno amati d'Italia, soltanto un'incollatura davanti ai casi disperati del palermitano Cammarata e della napoletana Russo Iervolino...
Con tutte le perplessità che evoca la figura di Bertolaso, si tratterebbe in ogni caso di un passo avanti. Indietro, del resto, era difficile compierne. Da tre anni i romani assistono al bizzarro esperimento di una grande capitale dell'umanità governata da una curva di ultras della politica. Un pugno di ex camerati del Fronte della Gioventù romano, più parenti e amici, proiettati da un destino crudele (e dall'imbecillità degli avversari politici) verso una missione impossibile. Governare una città che ha la popolazione e il bilancio di un piccolo stato europeo, e la storia di molti messi insieme. Per qualche tempo i romani, anche chi non l'aveva votato, ha sperato che Alemanno e i suoi potessero farcela. Così come si tifa allo stadio per una squadra di terza categoria giunta in finale. Ma ora il fallimento è conclamato e perfino ammesso.Gianni Alemanno è stato per tre anni il sindaco marziano di Roma, senza un rapporto vero con la città.
Distante, impaziente, forse persino deluso da una vittoria insperata che gli ha negato una più comoda poltrona di ministro, alle prese con problemi troppo più grandi di lui. Circondato per giunta da una compagnia di fedelissimi, pronti a sfoderare il pugnale per difenderlo, magari in cambio di un posto per il cognato o la prozia, ma del tutto inadeguati a compiti di governo. Ha svolto il compito di malavoglia, eccitato soltanto dalla possibilità di fare ogni tanto annunci d'ispirazione marinettiana, come la demolizione di Tor Bella Monaca, l'abbattimento delle opere di Meyer o il gran premio di Formula Uno all'Eur. E dire che s'era guadagnato il voto con la critica alla "politica spettacolo di Veltroni". Prima della cultura, dei festival, dei concertoni e concertini, diceva Alemanno, bisogna pensare alle buche nelle strade, alla criminalità, all'economica cittadina. La cultura infatti è quasi azzerata, ma non così le buche e i buchi in bilancio. I romani, tolleranti ma non fessi, se ne sono accorti e gli indici di popolarità sono crollati. Al disastro finale ha pensato la rapinosa compagnia dei collaboratori, con una serie di scandali all'insegna del "tengo famiglia".
Ora il marziano sindaco pensa di rimontare affiancandosi un marziano vice, ancora più bravo a fare annunci mirabolanti in televisione. Si tratta comunque, già dal nome, dell'ammissione di uno stato d'emergenza. Se fallisce anche la mossa Bertolaso, si può provare col mago Silvan e Harry Potter. Oppure dimettersi e fare posto a uno del mestiere. Tanto una poltrona da ministro ad Alemanno non gliela toglie nessuno. E al governo l'incompetenza non è un problema.
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