Potrebbe essere la riunione della direzione, il 13 gennaio, a decidere uno stop al dibattito sul "come" scegliere il candidato premier. Ma i veltroniani: fanno parte del nostro Dna (di UMBERTO ROSSO, Repubblica 4 gennaio)
ROMA - I dubbi sulle primarie portano il Pd a prendere in esame l'ipotesi-congelamento: potrebbe essere la riunione della direzione, il prossimo 13 gennaio, a decidere uno stop all'aspro confronto aperto sul "come" scegliere il candidato premier del partito. Stabilendo che, in questa fase, conta soprattutto il "quando": fino a che non sarà chiaro se ci aspettano davvero elezioni in primavera, meglio fermare lo scontro primarie sì-primarie no.Se, infatti, dovesse saltare il banco della maggioranza, e aprirsi la corsa al voto, come ha già spiegato Bersani la strada maestra per il partito sarebbe l'alleanza con il Terzo Polo di Casini e Fini, con conseguente passo indietro sui gazebo, "indigesti" al leader dell'Udc che aspira alla premiership.
Segretario del Pd dunque pronto a sacrificare le primarie, e le proprie stesse ambizioni alla guida della coalizione. Scontrarsi ora sulla "chiamata" o meno del popolo pd rischia solo, come ha messo in evidenza il sociologo Ilvo Diamanti nel sondaggio pubblicato ieri da Repubblica, di alimentare dubbi e incertezze nella stessa base del centrosinistra. Che, rivela la ricerca Demos, considera le primarie una caratteristica fondativa del partito, ma allo stesso tempo solo un terzo degli elettori le ritiene indispensabili.
Fuori dal Pd, Nichi Vendola continua a puntare tutto sui gazebo subito, mentre Antonio Di Pietro frena e chiede prima di trovare l'intesa su programma e coalizione: "Le primarie le vediamo come un possibile e positivo punto di arrivo dopo aver individuato una coalizione e un programma da proporre agli elettori". Farle invece solo sui nomi, sostiene il leader dell'Idv, sarebbe "un puro specchietto per le allodole, rischia di essere un passo azzardato".
Senza arrivare a tanto, anche ai vertici del Pd si fa strada l'idea di rivedere il meccanismo. "Serve un tagliando per le primarie - chiede un esponente della segreteria, Davide Zoggia - come mette in evidenza il risultato stesso del sondaggio di Repubblica: c'è la necessità di aggiustamenti, proprio per non disperdere il patrimonio della partecipazione". Aggiustamenti che dovranno passare attraverso un "ampio" confronto negli organismi del partito, ma "è ovvio che la discussione non può riguardare le primarie già previste". Niente marcia indietro allora a Torino o Bologna, dove il Pd dovrà correre comunque il rischio di ritrovarsi come a Milano, dove ha vinto Giuliano Pisapia, candidato appoggiato da Vendola.
Ma i veltroniani, che si preparano al "Lingotto 2" di metà gennaio, provano a tenere duro. "Le primarie fanno parte del dna di un partito - avverte Walter Verini - che dovrebbe tornare a parlare a tutto il Paese, in cui a contare non sono solo gli iscritti ma tutti gli elettori. E non quel regolamento di conti che purtroppo in qualche caso c'è stato". Sulla stessa lunghezza d'onda Stefano Ceccanti, che chiede consultazioni solo di partito e non di coalizione, e rivendica ancora il Pd a vocazione maggioritaria: "Soprattutto a livello nazionale, ma anche regionale, hanno senso solo primarie di partito in cui il leader è anche il candidato alla guida del governo". E anche per Pippo Civati, dell'area Marino, le primarie non si toccano, "sono molto popolari tra i sostenitori del centrosinistra, nonostante il fuoco di fila cui sono sottoposte dai big del Pd". Giusto l'opposto di quel che pensa Giorgio Merlo, ex Ppi: "Siamo di fronte ad un sostanziale fallimento delle primarie".
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