mercoledì 5 gennaio 2011

Ancora sul caso FIAT

(da l'UNITA' del 5 dicembre, Carlo Ghezzi)
Ho letto ieri su l’Unità le interviste di Cesare Damiano e di Sergio Cofferati sul caso Fiat e devo francamente dire che entrambe non mi hanno convinto a partire dall’analisi di fondo su quanto accaduto. 
Innanzitutto non partono dal fatto che alla Fiat la Fiom-Cgil ha subito una pesante sconfitta paragonabile a quella gravissima, subita sempre a Mirafiori, nel 1955 nel rinnovo della commissione interna e nel 1980 dopo la marcia dei 40.000. Poco importa se, come sottolinea Damiano, l’accordo di Mirafiori sia un po’ meno peggio di quello di Pomigliano, nè regge la sua tesi di una lettura articolata. E’ un accordo a perdere. Punto e basta.
Quando si perde una battaglia non si può negarlo, si può solo cercare di ottenere un trattato di pace meno umiliante e rimettersi alacremente al lavoro per ricostruire il proprio futuro. Anche quando vi sono lesioni dei diritti contrattuali sottoscritti tra le parti. E non è affatto la prima volta che accade...
Voglio ricordare a Cofferati che il 31 luglio del 1992 - insieme a Bruno Trentin - fu tra coloro che, persa un’altra fondamentale battaglia da parte della Cgil, isolata oltre che dal padronato e dal governo anche dalla Cisl e dalla Uil, decise di firmare non la cancellazione di un accordo aziendale o di un contratto nazionale, ma addirittura dell’istituto della scala mobile per 17 milioni di lavoratori in cambio di nulla.
Altro che appellarsi allo Statuto della Cgil. Trentin prima firmò, poi si dimise. E Sergio sostenne le sue posizioni. Allora ebbero il coraggio di spiegare che quando si perde occorre prenderne atto, non si deve nascondere la testa sotto la sabbia e, al contrario, si lavora per costruire la rivincita. Cosa che magistralmente avvenne con l’accordo con il governo Ciampi e con la Confindustria di Luigi Abete il 23 luglio del ‘93.
Non si può solo evidenziare l’intransigenza dell’avversario. Occorre per prima cosa mettere in campo le proprie proposte per affrontare la crisi della Fiat in un settore che ha quasi il 40% di sovracapacità produttiva. Un settore nel quale Marchionne non può illudersi di risolvere tutto producendo automobili scadenti, che fatica a vendere in Italia come all’estero, tagliando le pause e comprimendo i diritti sindacali.
Mi pare scorretto non mettere in adeguato rilievo che, all’unanimità, i presidenti delle categorie di Confindustria hanno, almeno per ora, girato le spalle alla Fiat che è uscita da Federmeccanica. È una situazione esplosiva per questa organizzazione che subisce una scissione da parte della più grande azienda poiché la maggioranza degli imprenditori italiani riafferma il valore dei contratti e di un sistema di regole. Si fatica a trovare commenti su questa notizia nelle pagine dei grandi giornali. Anche altre prese di posizione mi appaiono incomprensibili. L’arroganza e la miopia di Marchionne sono osannate come scelta di modernità dalla stampa e dal ministro Sacconi. Ma anche da mezzo Partito democratico che non comprende come al sistema di relazioni vigente in Europa non viene contrapposto il modello americano, che pure a noi non piace, ma a quello della Corea del Sud e di altri paesi emergenti.
Il non partire da qui fa venire meno il quadro di riferimento nel quale collocare qualsiasi idea di politica industriale, di relazioni in azienda, di modello di società. Giorgio Tonini sostiene che il Pd è nato per cambiare e deve perciò misurarsi con tutte le sfide poste in campo. D’accordo, ma la sfida per l’innovazione se non pone a riferimento il fatto che lo sviluppo debba essere coniugato con un sistema di regole e di diritti confonde ogni confronto di merito e rischia di essere senza senso. L’Italia, afferma la Costituzione, è una Repubblica fondata sul lavoro, ma senza il rispetto dei suoi diritti e della sua dignità questo non è il lavoro di cui parla la nostra Carta, è un’altra cosa. Ne è consapevole il Pd? Il primo ministro Merkel ha messo alla porta Marchionne quando ha capito quale musica veniva proposta. E l’Italia vuole restare in Europa?

*Presidente della Fondazione Di Vittorio
5 gennaio 2011

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